Revisionare e ottimizzare un testo

Ogni giorno, inequivocabilmente, accadono tre cose:

  • Google cresce, evolve, migliora;
  • noi maturiamo e, si spera, le nostre competenze aumentano;
  • i nostri contenuti invecchiano.

È sufficiente surfare tra i nostri siti web preferiti per accorgerci che leggiamo spesso testi datati. Quello che di solito succede per la carta stampata, riviste e libri che hanno date di pubblicazione ed edizioni aggiornate, nel web non accade di frequente. I contenuti sembrano fatti per essere abbandonati a loro stessi in eterno, in una rete che assomiglia a un mare inquinato, pieno di vecchia spazzatura.

Lasciamo da parte la morale che è il punto di partenza di oggi, ma non il punto di arrivo.

Quali sono i principali contenuti da revisionare?

Per iniziare questa analisi, potremmo distinguere i contenuti di tipo evergreen dai testi come “news”, ma ai fini del percorso che vorrei fare con voi, non è questa la distinzione attorno alla quale cominciare.

Partiamo da noi, o da chi ha scritto i contenti del nostro progetto: che studio è stato fatto per realizzare i testi? Chi ha scritto conosce il tema, è mosso da passione/empatia nei confronti dell’argomento? È stata fatta una keyword research adeguata? Soprattutto, per lo sviluppo del rapporto tra i motori di ricerca e il modo in cui l’utente fruisce il web, il contenuto è in linea con le aspettative di chi digita una query su Google?

Riprendiamo i tre punti iniziali: Google, le nostre competenze, i contenuti che invecchiano.

Thin Content, Pillar Content, Focus Content: e poi?

Torniamo indietro di qualche anno – nemmeno troppi, – e pensiamo a quando le pagine web vivevano di Thin Content. Di contenuti “sottili”, corti, spesso duplicati. Contenuti di poco valore per l’utente. Inizialmente, i thin content erano più che sufficienti.

Il mercato cominciava a vedere delle opportunità nel web: se per convincere l’utente a effettuare una conversione bastavano tre righe, perché fare di più? Poi per fortuna è arrivato Panda. È stato un segnale chiaro, non tanto per i gestori di siti web penosi, ma per dire al mercato “Ehi, qui il business cresce, cominciamo a prendere sul serio quello che facciamo?”. Poi, di conseguenza, c’è stata l’esplosione dei pillar content alla ricerca di una qualità solo quantitativa. Perché l’importante non era dare una risposta all’utente, ma stordirlo con più informazioni possibili: almeno di 1.200 parole.

Con Fred e i vari quality update, ci siamo avvicinati a quella che è la situazione attuale. Il concetto di Search Intent è diventato il cuore di una buona attività di content e SEO e lo studio dell’intento di ricerca si è intrecciato all’analisi della buyer journey dell’utente. Per ognuno di noi ora è chiara la distinzione tra query navigazionali, informative e transazionali.

Tuttavia, nel 2018, dove i temi caldi sono il mobile first index, la velocità nei tempi di caricamento delle pagine e la voice search, la maggior parte dei siti web non ha dei contenuti adatti.

Ecco il primo aspetto: i nostri contenuti vanno aggiornati, perché Google cambia e soprattutto cambia l’utente. Cambia il modo in cui il web viene fruito. Se i nostri contenuti non stanno al passo con il cambiamento, con le innovazioni, ci ritroveremo in fondo alle SERP.

I contenuti ci forniscono dati: sappiamo usarli a nostro vantaggio?

Mentre Google cambia, le nostre competenze aumentano, o almeno questo ci auguriamo. Se siamo attenti a cogliere l’evoluzione del mercato, possiamo dotarci di strumenti che ci aiutino a tracciare il rendimento dei contenuti. Google Analytics, SEOZoom, Hotjar, sono tool di analisi preziosi per farci comprendere l’efficacia dei nostri testi.

Quali aspetti tracciare?

In Analytics:

  • Il flusso di comportamento dell’utente;
  • la % di uscita;
  • il tempo di permanenza;
  • gli accessi (sfruttate la dimensione secondaria per abbinare le parole chiave);
  • obiettivi.

COSA OTTENIAMO:

—> Come stiamo intercettando l’utente?
—> L’utente trova nella pagina quello che cerca?

In SEOZoom:

  • keyword posizionate per l’url;
  • rendimento della pagina;
  • URL vs URL per confronti specifici con competitor;
  • opportunità di una pagina (keyword in seconda e terza pagina);
  • link in ingresso: la nostra pagina interessa a qualcuno?
Pagine con keyword

Keyword non inserite nel testo

COSA OTTENIAMO:

—> La pagina web ha un rendimento organico costante? In crescita? in calo?
—> La pagina web ha delle potenzialità per aumentare il bacino d’utenza?
—> Le keyword per cui la pagina web si è posizionata, sono davvero quelle che avevamo in mente oppure Google ha premiato il contenuto per un intento differente?

In Hotjar:

  • come si comporta l’utente nella pagina web;
  • se c’è un link, l’utente lo “vede”?
  • le immagini, sono integrate in modo efficiente o distraggono?

COSA OTTENIAMO:

—> La formattazione del nostro testo facilita l’utente?
—> Gli elementi extra-testuali, sono adeguati?
—> Ci sono dei punti specifici nella pagina web che interrompono la fruizione dell’utente?

Unendo le informazioni possiamo determinare, semplificando, tre casistiche:

1. IL NOSTRO CONTENUTO NON PIACE A GOOGLE

Se la nostra pagina web non si è posizionata per nulla, il dato è evidente. Il nostro contenuto non piace a Google. Poco male se l’obiettivo che abbiamo è traffico di altro tipo (social, referral, a pagamento etc), se invece puntiamo anche a uno snippet in prima pagina, con Analytics e SEOZoom (molto utile la sezione: “pagine peggiori” all’interno dei progetti) dovremo farci qualche domanda. Per le query che vogliamo intercettare, cosa si aspetta Google?

Ecco che qui lo studio dei competitor, l’analisi del testo, dei termini rilevanti, diventano aspetti chiave per mettere a fuoco in modo migliore il contenuto.

Revisione dei testi dal punto di vista SEO

2. IL NOSTRO CONTENUTO NON PIACE ALL’UTENTE

Ci sono pagine web che fanno un sacco di traffico, ma non convertono. Viene da chiedersi che scopo ha il nostro testo se non accompagna l’utente verso l’obiettivo per cui lo abbiamo portato nella pagina web. In questa fase diventano preziosi i dati raccolti dalle mappe di calore, per comprendere se ci sono delle criticità, che a livello statistico possiamo quasi definire oggettive sui grandi numeri.

Con SEO suite come SEOZoom possiamo accorgerci se ci sono delle differenze tra il modo in cui abbiamo sviluppato il nostro testo e il modo in cui l’utente ci arriva tramite Google. Vengono usati termini differenti? Siamo posizionati per sinonimi che non abbiamo considerato? Fondamentale, in questa fase è anche il motore di ricerca interno del sito web. Un mezzo pazzesco per conoscere di più il nostro utente.

3. IL NOSTRO CONTENUTO È OK, MA POTREBBE ESSERE ANCORA MEGLIO

Ogni buon SEO nel 2018 dovrebbe saperlo. Una pagina web non si posiziona per una keyword, ma per centinaia, migliaia di esse. Si posiziona dunque per un intento. Se il nostro articolo piace a Google e piace anche all’utente, perché non provare a renderlo ancora più performante?

Con SEOZoom nella sezione PAGINE possiamo utilizzare il pulsante ANALIZZA KEYWORD NELLA PAGINA per vedere quali sono le parole chiave che non abbiamo inserito nel testo, pur essendosi posizionate. Non si tratta ovviamente di copiarle in massa a spararle all’interno della pagina web. Possiamo tuttavia leggere questi dati e comprendere se ci sono dei topic che possiamo approfondire meglio, se c’è un’intestazione da aggiungere per rendere il testo più chiaro, in alcuni casi nelle SERP più competitive, si può valutare se spingere l’acceleratore con un ATTRIBUTO ALT a chiave esatta ben piazzato. Conoscere il potenziale di una pagina web, ci permette con piccole modifiche e poco tempo, di ottenere un vantaggio rapido e basato sui dati.

OK, Google migliora, noi ne sappiamo di più, e i nostri testi? Aggiorniamoli!

Tenere un testo aggiornato, con informazioni corrette è – alla fine dei conti – quello che ci permette di non far scappare il nostro lettore a gambe levate. Con le ottimizzazioni scritte qui sopra possiamo aumentare la quantità di lettori e avere utenti profilati. Se teniamo i contenuti aggiornati siamo certi di avere almeno due vantaggi:

  1. un’opportunità maggiore di far diventare il lettore un cliente;
  2. rafforzare il brand: l’utente soddisfatto è un utente che ricorderà il nostro nome, il nostro sito web.

Mi avvio alla conclusione con due esempi che ho avuto l’occasione di approfondire al Search Marketing Connect 2017. Sembrano storie fantastiche, ma non lo sono. Ahimé.

LAVORARE SULLE MISSPELLED: AI TOOL PIACE, NO?

Andava di moda dieci anni fa riempire le pagine web di misspelled. Per molti era un modo per intercettare anche gli utenti che digitavano le query in modo errato. Se pensate che ora non accada più, vi sbagliate: se prima lo si faceva per opportunità, ora va di moda tra i link builder per pompare i dati nei tools e falsare le metriche.

È controproducente per tanti motivi: il pollo a cui si vende il link, ci casca una volta e poi basta. I tool puliscono i dati delle misspelled periodicamente e avreste perso tempo. Infine, torniamo all’utente: chi legge articoli pieni di refusi sarà poco intenzionato a dare fiducia al sito web. Il risultato? Percentuali di abbandono più alte, meno conversioni, zero stima nei confronti del brand.

NEI PROGETTI PICCINI, IL BRAND NON HA IMPORTANZA. BUGIA!

Mi sono capitati tra le mani recentemente piccoli blog. L’errore più grande, per chi comincia, è sottovalutare il progetto al quale sta dedicando tempo, denaro, energia. Succede di vedere blog con contenuti di qualità con un’attenzione quasi inesistente nei confronti del brand.

Il risultato? Tutto il traffico “facile” delle query navigazionali (keyword + brand) risulta vano. Se il sito web non viene trovato dall’utente, nemmeno quando assieme alla keyword affianchiamo il brand, siamo sicuri di aver creato un contenuto e una struttura di valore? Facciamoci attenzione.

Conclusione

Di solito quando creiamo un contenuto per il nostro sito accade questo: aspettiamo che si posizioni e se non funziona ne scriviamo uno nuovo.

Cambiamo approccio: lavoriamo sul testo che abbiamo. In questo momento comincia la vera ottimizzazione. Partendo dai dati che raccogliamo e dalla loro elaborazione sulla pagina.

Una buona pratica che unisce dati e creatività permette di potenziare i testi valorizzando tempi e risorse a disposizione, senza bisogno di ricominciare sempre da capo. Per un web più pulito, dove l’utente navighi in modo più chiaro e venga condotto verso spiagge più sicure.

Autore: Elisa Contessotto, creative strategist e formatrice, per il Max Valle.