Antitrust Influencer

Prima c’erano i blogger, ora ci sono gli influencer. Ma la solfa è sempre la stessa: da una dozzina d’anni a questa parte siamo circondati da personaggi che, con i loro contenuti/post pubblicati su blog e social, influenzano le decisioni di acquisto di altri. Oggi cerchiamo di definire un po’ meglio i contorni di questo fenomeno.

Chi sono gli Influencer?

Potenzialmente lo siamo tutti. Se sei un pochino esperto in una certa materia, se ti esprimi con autorevolezza e se sei in grado di essere visibile (online ma volendo anche offline), puoi probabilmente considerarti un influencer. Competenza, autorevolezza, visibilità. E ovviamente, numero di seguaci: più hai persone che pendono dalle tue labbra, e più sei influente.

Perché l’Antitrust ha preso di mira gli Influencer?

Semplicemente perché fanno (non tutti, ovviamente) pubblicità occulta. In poche parole, vengono pagati (con soldi o in natura) da un brand, NON lo dichiarano, e parlano di quel determinato prodotto/servizio con (finta) naturalezza, condizionando il loro pubblico di riferimento. L’Antitrust ha quindi deciso di intervenire, per ora solo con una sorta di comunicato stampa che sollecita gli influencer ad essere più trasparenti nelle loro “marchette”, per esempio facendo uso di hashtag (#pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento o, nel caso di fornitura del bene a titolo gratuito, #prodottofornitoda) che possano identificare immediatamente il contenuto come pagato/promozionale.

Perché non cambierà nulla?

Perché l’Antitrust approccia al problema in modo “antico”. Nel comunicato si legge infatti che i blogger e gli influencer sono “personaggi di riferimento del mondo online, con un numero elevato di follower”. E infatti dice di aver inviato lettere di moral suasion ai principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati. Tutto corretto, se non fosse che il fenomeno, oggi, è endemico. E il modo di smarchettare sfuggente. Intendo dire che:

  1. L’Antitrust vedrà sempre e solo la punta dell’iceberg. Se può essere facile “indagare” celebrità come Ferragni, Fedez, Belen, Satta o Tatangelo, è IMPOSSIBILE cercare i legami fra decine di migliaia di micro-influencer e brand per i quali smarchettano.
  2. Oltre ai micro-influencer, ci sono le micro-nicche. Magari nessuno si sogna di indagare la nicchia della SEO, però anche lì potrebbero esserci dei “SEO-influencer” che promuovono – senza dichiararlo – il SEO tool di turno, e vengono pagati da questo.
  3. Non tutti vengono pagati per smarchettare. Intendo dire che non ricevono né soldi, né pagamento in natura. Eppure smarchettano. Montanelli direbbe che “la servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”.
  4. Alcuni sono onestamente fanboy di un prodotto/servizio. Lo consigliano in buona fede, perché si sono trovati bene ad utilizzarlo. In che categoria rientrano questi personaggi? Se non sono pagati, non sono influencer?
  5. Oltre agli influencer, che almeno ci mettono la faccia, ci sono “zone grigie” del web dove le autorità dovrebbero indagare un po’ più in profondità. Senza voler fare il “benaltrista”, credo che il problema della montagna di siti/pubblicità che da ANNI promettono guadagni istantanei e dimagrimenti immediati, sia un bel po’ più urgente dell’influencer che “raccomanda velatamente” un prodotto/servizio. (Ricordo che Google ha già messo da tempo questa categoria di siti, denominata YMYL (Your Money or Your Live), nel mirino).

Siamo tutti influencer. Sì, lo ripeto, tutti – potenzialmente – lo siamo. Non è questione di “numero elevato di follower”, perché tutti possono influenzare – anche economicamente – una manciata di persone con un post. Non è più questione di pochi che influenzano tanti, ma di tanti che influenzano tantissimi, con qualsiasi contenuto che viene pubblicato sul web. E questo fenomeno non si può arginare con una legge.