Reputation Economy

Agli algoritmi impiegati dai motori di ricerca si affiancheranno algoritmi sviluppati per ottenere informazioni sulla reputazione di persone, aziende e organizzazioni, sostengono Michael Fertik e David C. Thompson in Reputation Economy – Come ottimizzare il capitale delle nostre impronte digitali (Egea, € 18,70 in formato cartaceo, € 11,99 in formato e-pub). Quali sono i rischi e le opportunità della cosiddetta Economia della Reputazione? Prima di rispondere, voglio innanzitutto ringraziare Davide per la generosa ospitalità. È anche opportuno che mi presenti: mi chiamo Andrea Galassi, sono un giornalista freelance e sto lavorando a un progetto su reputazione, credibilità e autorevolezza online. Un progetto che ha a che dare anche con il concetto di E-A-T (Expertise-Authoritativeness-Trustworthiness), di cui Davide ha scritto in Google Quality Rater: Tutte le Novità delle Nuove Linee Guida.

Reputazione è potere

“La reputazione è potere”, scrivono Fertik e Thompson. Sebbene il termine potere assuma tanti significati quanti sono gli ambiti in cui lo stesso viene utilizzato, credo si possa convenire sul fatto che un potere porta sempre con sé rischi e opportunità. Cerco di spiegarmi con un esempio preso in prestito proprio dal libro: “La vostra reputazione determina la scelta della vostra banca di concedervi un prestito per comprare una casa o un’auto”. La banca ha il potere di concederci un prestito sulla base della nostra reputazione. Se la nostra reputazione è buona, non incontreremo particolari problemi nel vedere accettata la nostra richiesta di prestito. Se, invece, la nostra reputazione è cattiva, non soltanto dovremo affrontare ostacoli, ma rischieremo anche che la banca ci neghi il prestito richiesto.

Reputazione & Banche

Nulla di nuovo sotto il sole, in apparenza, se si pensa che già nel primo secolo a.C. lo scrittore e drammaturgo romano Publilio Siro scriveva che “una buona reputazione equivale a un altro patrimonio” e che “una buona reputazione ha più valore del denaro”. A ben guardare, invece, c’è molto di nuovo. Perché la tecnologia “ha reso possibile raccogliere, salvare, analizzare e distribuire ogni tipo di informazione che vi riguarda, dal profilo demografico al comportamento come automobilisti fino a un elenco completo di tutte le attività”, evidenziano Fertik e Thompson. E perché “proprio come i motori di ricerca consentono agli utenti di trovare dati sul web, i “motori di reputazione” permetteranno alle aziende, e sempre di più alla gente comune, di cercare le vostre tracce digitali per avere informazioni su ogni vostra attività e interazione online e offline”, aggiungono i due esperti.

Reputazione & Potere

Algoritmi, motori e punteggi di reputazione

Negli scenari prefigurati in Reputation Economy, a ciascuno di noi saranno assegnati punteggi basati sulla nostra reputazione in ogni settore, simili al FICO Score, che negli USA esprime una misura del rischio di credito al consumo.

Reputazione & Punteggi

Punteggi basati su algoritmi di cui non si conosceranno i fattori, non tutti, almeno, e che saranno elaborati da computer. E questi ultimi “sono terribilmente letterali […] e privi di senso dell’umorismo, capacità di contestualizzazione, compassione”, ricordano Fertik e Thompson. Motori di ricerca e motori di reputazione hanno pertanto in comune la segretezza pressoché assoluta dei fattori presi in esame e della formula applicata per assegnare i punteggi. Ecco perché, secondo alcuni osservatori, la società degli algoritmi sarà più ingiusta e ineguale. Anche Fertik e Thompson non mancano di evidenziare le criticità della Reputation Economy:

L’impatto dei sistemi che assegnano un punteggio alla reputazione è inequivocabile, per il semplice fatto che, a prescindere da quanto possano essere sofisticati i computer e i loro algoritmi, essi non sono purtroppo ancora in grado di discernere la finzione dalla realtà; in altre parole, la loro capacità di giudicare la veridicità delle informazioni deve ancora mettersi al passo con l’importanza delle decisioni che essi sono chiamati a prendere.

Un esempio di punteggio di reputazione Moven è una banca che offre conti, carte di credito e altri prodotti in base al CREDscore del richiedente. Come viene calcolato il punteggio? “Accedendo agli account del cliente sui social network, come LinkedIn, Facebook e così via. Un algoritmo proprietario di Moven analizza poi i dati relativi al vostro lavoro (stabile? coerente con il reddito dichiarato?), la cronologia dei vostri post (sufficienti a dimostrare che siete una persona in carne e ossa ma non troppi da far pensare che trascuriate il lavoro) e la vostra presenza su Twitter (punti extra se siete influenti)”.

Una miriade di opportunità e privilegi

Ai rischi di una cattiva reputazione, e alle criticità di meccanismi poco chiari e tutt’altro che infallibili, fa però da contrappeso “una miriade di opportunità e privilegi” generata da una buona reputazione. “Grazie alla capacità di Internet di trasmettere facilmente informazioni a chiunque nel mondo come se si trovasse dietro l’angolo, l’occasione di una vita può arrivare da qualunque luogo, anche da migliaia di chilometri di distanza”, scrivono i due esperti.

Come costruirsi una buona reputazione

Fertik e Thompson forniscono numerosi suggerimenti utili per costruirsi una buona reputazione, soprattutto per arrivare sulle scrivanie dei responsabili delle risorse umane e superare, quindi, la selezione operata da software e macchine. Suggerimenti che, a ben vedere, possono estendersi a qualsiasi ambito e non restare confinati a quello lavorativo.

  1. Bisogna innanzitutto diventare presentatori di noi stessi, vale a dire diffondere i nostri contenuti e metterli a disposizione dei motori di reputazione “che scandaglieranno Internet in qualsiasi momento alla ricerca di materiale”. Presentare noi stessi non significa “twittare ogni quindici minuti” e “comunicare mucchi di banalità”, ma pubblicare, per esempio, commenti intelligenti, condividere articoli interessanti, impegnarsi in conversazioni brillanti e civili. Fertik e Thompson evidenziano inoltre i benefici che i cosiddetti influencer possono generare: “Anche solo il fatto di essere collegati a personaggi influenti e opinion leader può far risplendere la vostra immagine e certamente vi farà trovare più facilmente”.
  2. Si deve poi avviare la nostra attività digitale. “Costruite profili online, per esempio acquistando un nome di dominio, e aggiornateli con contenuti professionali che vi riguardino, aprite un blog settoriale e pubblicate frequenti post sugli ultimi sviluppi e tendenze, rendete il vostro profilo LinkedIn completo e attuale e siate tra i primi a utilizzare qualsiasi altro servizio professionale divenuto popolare negli ultimi anni”.
  3. Terzo consiglio per costruirsi una buona reputazione: assicurarsi che i nostri mondi online e offline non si contraddicano. “Un messaggio coerente creerà un circolo virtuoso: le vostre affermazioni offline corrispondono a ciò che si può trovare online, e viceversa”.
  4. Quarto suggerimento: essere abili con i social media. “Cancellate i post che potrebbero essere offensivi o fraintesi o che altrimenti potrebbero essere motivo di biasimo, o almeno rendeteli visibili solo agli amici più stretti al di fuori del luogo di lavoro”.
  5. Fertik e Thompson consigliano poi di scrivere in modo adeguato, senza però preoccuparsi di raggiungere la perfezione e rischiare di usare “una lingua in via di estinzione”.

La miglior strategia di gestione della reputazione

I suggerimenti di cui sopra incontreranno senza dubbio reazioni contrastanti tra gli addetti ai lavori e gli esperti di settore e, peraltro, possono essere attuati tramite soluzioni e metodi difformi. Credo, tuttavia, che i consigli finali di Fertik e Thompson possano (anzi, debbano) essere presi a riferimento da ciascuno di noi. Mi riferisco a quella che i due autori di Reputation Economy definiscono la migliore strategia di gestione della reputazione, e che consiste in:

  • offrire qualcosa di unico e personale
  • essere se stessi anziché uniformarsi al modello di qualcun altro
  • apportare valore all’azienda per cui si lavora, ai clienti, al pubblico di riferimento
  • rispettare il prossimo ed essere responsabili a livello sociale e ambientale

Le variabili della reputazione

Anche a mio avviso, valore, rispetto e responsabilità sociale costituiscono variabili della reputazione, vale a dire elementi che influenzano la reputazione di una persona, di un professionista, di un’azienda, di un’organizzazione. Altri elementi che, infine, e sempre a mio avviso, concorrono a determinare la reputazione di singoli e gruppi, sono:

  • accessibilità / raggiungibilità / rintracciabilità
  • capacità di ascolto / disponibilità al dialogo
  • capacità di recepire le critiche e di mettersi in discussione
  • trasparenza
  • onestà / correttezza
  • coerenza
  • competenza
  • affidabilità
  • precisione / accuratezza
  • rete sociale / capitale relazionale
  • innovazione / capacità di innovare
  • eticità / integrità
  • esperienza

Autore: Andrea Galassi, giornalista freelance e fondatore di Punto di Riferimento, per il TagliaBlog.