Mi sono seduto al buio e ho pensato: forse non c’è nessuna grande apocalisse, ma una processione infinita di piccole apocalissi. (Neil Gaiman)
Da qualche settimana su YouTube non si parla d’altro: la famigerata e temibile Adpocalypse ha colpito anche YouTube Italia, dopo aver sconquassato la community statunitense. Il panico comprensibile che questo cambio di rotta ha procurato si è tradotto in migliaia di youtuber terrorizzati dall’idea di vedersi chiudere il canale da un momento all’altro. Già, perché l’apocalisse di YouTube non guarda in faccia a nessuno: hanno infatti riscontrato numerosi problemi sia i canali più piccoli, con poche centinaia di iscritti e visualizzazioni, sia i veri e propri colossi della community italiana di YouTube. Ma che cos’è questa Adpocalypse? La parola, coniata da alcuni siti di informazione statunitensi, vede la fusione della parola ad (pubblicità) e apocalypse, letteralmente apocalisse. E, a presiedere questo Giudizio Universale, siedono i maggiori finanziatori della piattaforma, coloro che, in sostanza, permettono agli youtuber di fare questo mestiere nella vita, pagando i vari spazi pubblicitari.
L’apocalisse di YouTube spiegata in breve
Per combattere tutti i contenuti considerati immorali o non graditi, i principali sponsor di YouTube hanno avviato una sorta di crociata contro tutti quei video di istigazione alla violenza, proselitismo nei confronti del terrorismo, clip a sfondo sessuale e così via. Ma allora dov’è il problema? Il problema sta nel fatto che, alla luce degli oltre 2 miliardi di video caricati ogni anno sulla piattaforma, proporre un controllo dei contenuti eseguito da parte di esseri umani risulta essere praticamente impossibile. La soluzione è stata l’implementazione di un nuovo algoritmo, in grado di filtrare automaticamente i contenuti buoni e quelli cattivi, identificando parole, musiche, suoni o temi potenzialmente pericolosi: per i video considerati cattivi, a meno che non siano perseguibili dalla legge, è necessario prevenirne la fruibilità, impedendone un accesso libero a tutti. Meno pubblicità sarà presente su di un video, meno saranno i guadagni mensili. I contenuti giudicati cattivi, faranno diventare il canale incriminato un canale con restrizioni. Perché YouTube ha permesso tutto questo? Perché gli sponsor, allarmati dalla possibilità che la propria pubblicità e, di conseguenza, il proprio prodotto potessero essere associati a tali contenuti immorali, hanno minacciato di ritirare i soldi in ballo per l’advertising su YouTube.
Dove sta il problema?
Messa in questi termini la situazione sembra essere normale, addirittura a favore di un’utenza molto ampia che finisce per essere protetta e tutelata da contenuti pericolosi e sgraditi. Tuttavia per YouTube, con il nuovo algoritmo, tra l’informare gli utenti di fatti inerenti – per esempio – al terrorismo (cronaca, analisi del problema, ecc.) e inneggiare allo Stato Islamico come unica via di salvezza, purtroppo non vi sarà alcuna differenza. Con il nuovo algoritmo anche i canali dedicati all’informazione, spesso costretti per dovere di cronaca ad affrontare argomenti difficili e spinosi, avranno enormi problemi di visibilità e di compensi. Questo si traduce con una limitazione assoluta per quanto riguarda la creatività e la creazione di contenuti, senza guadagnare poi molto in termini di effettiva sicurezza. Sono molti i casi di creativi migrati su Twitch e non è raro trovare nelle descrizioni dei video pubblicati dei link che rimandano a piattaforme dalle quali poter donare del denaro, a fronte di un taglio netto dei guadagni mensili di chi vive di YouTube.
La soluzione ad Adpocalypse… esiste?
Purtroppo, o in alcuni casi per fortuna, è possibile aggirare la cosiddetta AdPocalypse. Come sappiamo bene, fra i fattori di indicizzazione e posizionamento su YouTube ci sono tag, titoli e descrizioni: inserendo una parola considerata dal nuovo algoritmo come pericolosa o immorale, a prescindere da se il video sia tale o meno, il video sarà automaticamente giudicato con restrizioni. Le restrizioni comportano un calo drastico delle visualizzazioni e della popolarità del canale colpito, oltre a un taglio piuttosto netto per ciò che riguarda i guadagni a fine mese. Purtroppo, non essendo possibile controllare in maniera concreta e umana tutti i contenuti caricati sul portale, è facile aggirare lo scalino del nuovo algoritmo, scegliendo di adottare tag, titoli e descrizioni giudicate da YouTube come buone. Per dirla in parole povere, se uno youtuber dovesse inneggiare al terrorismo e fare proselitismo, ma inserisse nei tag, nei titoli e nelle descrizioni delle keyword come pace, amore, bene e così via, è molto probabile che tale video finirebbe per essere pubblicato senza restrizioni e monetizzato. Negli anni passati, si sono susseguiti diversi scandali sul Tubo causati da youtuber che utilizzavano tag assolutamente immorali, inerenti alla sessualità e ai tragici fatti di cronaca del momento. Chi propone un format incentrato sulla diffusione di informazioni di stampo giornalistico, fino a ora ha inserito nei propri tag le parole chiave correlate ai fatti del momento. In entrambi i casi, con le nuove politiche di YouTube, i contenuti già pubblicati finiranno per essere tutti con restrizioni. Una soluzione all’Adpocalypse di YouTube sta, dunque, nell’evitare che i propri video vengano giudicati invisi al nuovo algoritmo, evitando di inserire tag e parole chiave clickbait e attira visualizzazioni, che solitamente risultano essere anche piuttosto immorali o borderline.
La soluzione ad Adpocalypse: maggiori interazioni
Per riuscire a ritornare in carreggiata e a fare di YouTube il proprio sostentamento, qualora fosse difficile, se non impossibile, recuperare il proprio canale alla luce delle novità introdotte con l’Adpocalypse, potrebbe essere una mossa strategica quella di investire su un maggior quantitativo di interazioni con il proprio pubblico e con quello potenziale. Investire in campagne adeguatamente studiate per aumentare l’engagement, il numero di iscrizioni e il numero di visualizzazioni, consentirà agli youtuber di risultare appetibili per brand in cerca di sponsorizzazioni su YouTube. Il product placement, ovvero l’inserimento di alcuni prodotti nei video di YouTube previo compenso, è uno dei metodi più remunerativi per guadagnare in qualità di youtuber. Parlando in termini concreti, i guadagni sono piuttosto variabili e dipendono dai numeri dello youtuber e dall’azienda in sé: ovviamente, più sarà l’engagement del canale, più sarà possibile guadagnare qualche bella cifra. Per 100.000 iscritti, mediamente si possono guadagnare anche 300 euro a product placement. Cercare e creare delle collaborazioni dirette con i marchi, proponendo collaborazioni all’ombra del nuovo algoritmo, è l’unico modo per riuscire a salvarsi dall’apocalisse di YouTube e resistere fin quando il problema non sarà del tutto risolto. Se è vero che questo potrebbe apparire come una sorta di circolo vizioso, in quanto i brand tendono ad accettare collaborazioni remunerate con canali dai numeri importanti e promettenti, è anche vero che, anziché gettare tutto alle ortiche, è possibile intervenire scegliendo di agire in maniera strategica e ponderata. Più saranno le visualizzazioni, le iscrizioni e i commenti, maggiori saranno le possibilità di uscire a testa alta da una situazione complicata, che ha messo a rischio l’intera community di YouTube. Per ribadire l’importanza di avere un piano di riserva e considerare YouTube in un’ottica più ampia, riportiamo di seguito una citazione del famoso youtuber italiano Yotobi, tratta dal suo video intitolato “Volare con i Piedi per Terra”:
YouTube è il quarto d’ora di notorietà moltiplicato per dieci anni. E la cosa più sbagliata che puoi fare quando hai un po’ di notorietà e delle entrate abbastanza cospicue, è dimenticartene.
Autore: Andrea Lanconelli di Comprare Visualizzazioni Youtube, per il Max valle