Correlazione e Causalità

Chi opera nella SEO, sa bene che correlazione e causalità (o relazione causa-effetto) NON sono sinonimi. Vari studi (come quello annuale di Searchmetrics o quello biennale di Moz) han cercato di approfondire la correlazione fra certi fattori e il buon posizionamento di una risorsa su Google, ma NON possono dimostrare che sono proprio quei fattori ad essere la causa del buon posizionamento della risorsa sul motore di ricerca. Eppure un paio di giorni fa, Rand Fishkin ha pubblicato sul Moz Blog un post dal titolo assai curioso: Why SEOs Need to Care About Correlation as Much (or More) than Causation, ovvero “Perché i SEO dovrebbero occuparsi della Correlazione tanto quanto (o più) della Causalità”. Secondo Fishkin, i web marketer operano oggi in un mondo in cui Google:

  • Utilizza tecniche di apprendimento automatico (machine learning) per distinguere gli endorsement editoriali dallo spam (vedi Penguin)
  • Misura e ricompensa l’engagement (vedi il pogo-sticking)
  • Ricompensa i segnali correlati ai brand (e tenta di rimuovere/punire i soggetti che non sono brand)
  • Analizza i contenuti in un modo estremamente potente ed accurato, da migliaia di angolature diverse (vedi Hummingbird)
  • Punisce i siti che pubblicano (in modo volontario o accidentale) contenuti mediocri, anche se il sito ha già all’interno altri buoni contenuti (vedi Panda)
  • Riconosce e tiene conto in modo rapido di modelli di query e click come segnali atti ad influenzare il posizionamento (vedi questo test)
  • Fa centinaia di aggiornamenti algoritmici ogni anno, la maggior parte dei quali non sono né annunciati, né conosciuti

Dato questo ecosistema frenetico, il miglior percorso da seguire non è quello di basarsi esclusivamente su segnali riconosciuti ed accettati, che si sa che hanno impatto diretto sul ranking (come il keyword-matching, i link, etc.). Chi persegue solo queste strategie, rischia oggi di fallire sul lungo termine. Alcuni SEO hanno anche visto i loro siti calare a causa di penalizzazioni, concorrenti più scaltri, o svalutazione delle loro tattiche. I marketer che invece “tengono botta” sembrano essere quelli che lavorano maggiormente su popolarità, rilevanza, trust, e che forniscono una miglior “esperienza globale” agli utenti. E molto spesso, fare ciò significa guardare più alla correlazione che alla causalità.

Moz's 2013 Ranking Factors

Fishkin cerca di spiegare meglio il concetto con un esempio. Ipotizziamo che scopri che Google considera come “segnale di qualità” il tempo speso da un utente su una pagina che ha visitato tramite una SERP. I siti con pagine dove gli utenti trascorrono più tempo si posizionano meglio, mentre quelle abbandonate velocemente scendono di posizione. Decidi quindi di sfruttare questa cosa a tuo vantaggio, utilizzando alcuni trucchi per mantenere il più possibile gli utenti sulla pagina. Nel frattempo, un tuo concorrente (che non è conoscenza della tua scoperta) sta lavorando ad un nuovo design del suo sito, per renderlo più semplice, veloce e piacevole per i visitatori. Pubblica il nuovo sito, ma inizialmente vede che perde posizioni su Google, e non capisce perché. Tu invece lo sai: perde posizioni perché Google considera il tempo speso sulla pagina come fattore di ranking, mentre il sito del tuo concorrente è ora più semplice e veloce, gli utenti ottengono le informazioni in minor tempo, abbandonano le pagine più rapidamente, e quindi il suo sito scende in classifica. Ma cosa accade sul lungo termine? I quality tester di Google vedono che gli utenti del motore sono meno soddisfatti del tuo sito. Google lavora per premiare i siti che offrono un’ottima user experience, e il tuo concorrente ottiene più link, più “amplificazione”, più condivisioni sui social, più passaparola, perché gli utenti ottengono una miglior esperienza d’uso sul suo sito, rispetto al tuo. Tu hai scoperto un bug nell’algoritmo di Google e lo hai sfruttato, ma hai giocato al gioco “dov’è debole Google?”, anziché a quello “dove sta andando Google?”, e alla fine hai perso. Negli ultimi 10 anni, lavorare sui vantaggi ottenibili sul breve termine si è sempre rivelato fallimentare, rispetto al lavorare sul lungo termine. Ecco perché oggi Fishkin suggerisce di ragionare su ciò che è correlato al posizionamento, anziché sulle cause. Se molti siti nel tuo settore stanno offrendo applicazioni Android e iOS, potresti pensare che non servano a nulla, perché avere un’app non serve a posizionarti meglio su Google. Ma cosa succede se queste applicazioni mobile permettono ai tuoi concorrenti di ottenere maggior copertura sui media, e quindi più link, visite, query di ricerca con i loro brand, e tante altre cose che Google considera come fattori di ranking? Se molti siti nel tuo settore fanno spot televisivi, potresti pensare che non servano a nulla, perché la pubblicità in TV non è collegata alla SEO. Ma cosa succede se quegli spot portano ondate di traffico ai siti dei tuoi concorrenti, e fanno in modo da rendere il loro brand molto più riconoscibile e quindi più linkato, condiviso e chiacchierato dagli utenti? Google continua ad apprendere in modo automatico tramite migliaia di fattori e singoli segnali, che sono probabilmente i diretti responsabili del miglior posizionamento, su certe query di ricerca, di certi siti rispetto a certi altri. Puoi sentirti compiaciuto nell’avere più conoscenze SEO dei tuoi concorrenti, o dei suoi consulenti, ma questa soddisfazione non ti posiziona meglio di loro. In realtà, l’ossessione di certi SEO di sapere esattamente come funziona Google, ha forse distolto la loro attenzione nei confronti di una più ampia e profonda comprensione della visione d’insieme del quadro. Fishkin chiude rilevando che più e più volte, professionisti SEO che ammira e rispetta, brillanti analisti degli algoritmi di Google, vengono “battuti sul campo” da marketer meno skillati lato SEO, ma che hanno una miglior visione del quadro d’insieme. Il suo consiglio finale è quindi il seguente: rimani specializzato nel tuo settore e non rinunciare a studiare il funzionamento di Google, ma valuta con grande attenzione tutti gli elementi che sembrano avere effetti secondari o che sembrano siano solo semplici correlazioni, anziché concentrarti solo su ciò che sai già essere una diretta causalità.