Il mio professore di economia dell’università mi disse che la maggior parte delle persone ha un’avversione al rischio. Il che significa che devono essere ben pagate per assumere tale rischio: più grande è il rischio, più sono i soldi che devi dare a queste persone per farglielo correre. Prendiamo decisioni relative ai rischi/benefici ogni giorno. Dovrei andare a sciare e provare l’ebbrezza della discesa, anche se c’è una piccola probabilità che mi spacchi un ginocchio? Dovrei andare al college, o è meglio che mi trovi un lavoro e inizi da subito a guadagnare? Dovrei mangiare fibre e cibi sani, o è meglio un cheeseburger? Dovrei andare al bagno prima dell’inizio del film? Ogni volta che facciamo o non facciamo qualcosa, c’è un algoritmo di rischio/beneficio che viene calcolato dal nostro cervello. Per gli imprenditori, però, è diverso. Non hanno bisogno di ricevere una ricompensa per correre un rischio, perché traggono un’utilità dal rischio stesso. In altre parole, amano l’avventura. I soldi e i rischi necessari per avviare un’impresa sono enormi. Solo una piccolissima parte di imprenditori diventa ricca. E la maggioranza di essi farebbe probabilmente più soldi, e avrebbe anche relazioni personali più stabili, se solo lavorasse per qualcun altro. Da giovane facevo l’avvocato per grandi aziende, e guadagnavo un’ottimo stipendio rappresentando le startup tecnologiche della Silicon Valley. Avrei avuto la possibilità di diventare socio dello studio in 7-8 anni e quindi guadagnare un milione di dollari all’anno, prima dei 40 anni. Tutto ciò che avrei dovuto fare era lavorare soldo e portare clienti. Ed ero bravo in entrambi i campi. Ma ho mollato solo dopo 3 anni per entrare in una startup. E il motivo per cui l’ho fatto si chiama avventura. Volevo far parte del gioco, non volevo solo stare a guardarlo. I miei genitori pensavano fossi pazzo. Ancora oggi non hanno ben capito cosa faccio per vivere, ed erano parecchio arrabbiati di aver speso i loro soldi per farmi laureare in legge per poi vedere che avevo mollato tutto prima dei 30 anni. Ma l’ho fatto comunque. Poi ho lasciato la prima startup per fondare la mia. E non ho mai guardato indietro da allora. La mia prima azienda ha fatto fare un sacco di soldi ai venture capitalist – circa 30 milioni di dollari – ma quasi nulla ai fondatori. Le startup che ho fondato dopo hanno avuto risultati fra lo scarso e il mediocre. Ma in nessun momento ho mai pensato di trovare un “vero lavoro”. Per me sarebbe stato un mondo in bianco e nero, mentre io volevo il technicolor. E inoltre odio lavorare per gli altri, non son davvero capace a farlo. Quando parlo con i non-imprenditori circa il mondo delle startup uso spesso l’analogia del pirata. Non perché sappia molto dei pirati, ma perché in generale gli stereotipi funzionano bene come analogie. Perché alcune persone del 17° secolo diventavano pirati? Immagino perché si potevano guadagnare montagne di soldi. C’era una piccolissima probabilità di fare una fortuna, ed una altissima possibilità di finire annegato, impiccato, ucciso, o cose simili. E vivere su una piccola nave con un centinaio di altri brutti ceffi doveva essere una schifezza. Nelle mie fantasie sul mondo dei pirati penso che questi ragazzi se ne fregavano altamente dei rischi, e che l’idea di arricchirsi è solo una delle componenti dell’impresa: eppure la caccia al tesoro è la vita stessa dei pirati (oltre al fatto che era quasi impossibile fare l’imprenditore in quel periodo). Ora stiamo invece scoprendo che la maggior parte delle persone della Silicon Valley hanno una avversione ai rischi. Calcolano attentamente i potenziali benefici di una startup prima di entrarci, guardando sia allo stipendio che alle stock option. E anche il valore che, a livello di curriculum vitae, quelle società potranno portare loro. Alcune delle persone più ricche che conosco non sono realmente degli imprenditori. Hanno lavorato in HP, e poi si sono spostati in Netscape quando ha fatto il botto. Han guadagnato una fortuna e quindi sono andati in Google a guadagnare un’altra fortuna. E ora sono andati in Facebook. Possono essere ottimi ingegneri, venditori, marketer, o dirigenti. Ma non sono imprenditori. Non importa se sei un miliardario. Se non hai mai fondato una tua startup, se non hai mai scommesso il tuo cv e i tuoi soldi e forse anche il tuo matrimonio per fare una cosa folle per i fatti tuoi, non sei un pirata e non fai parte del club. Il brivido della tua prima assunzione, dell’essere riuscito a convincere qualche altra anima folle ad unirsi al tuo progetto quasi sicuramente fallimentare. Il trovare un finanziamento di un venture capital e vedere il tuo nome citato sulla stampa. L’emozione del lancio e… dei primi clienti! E la sensazione di imparare qualcosa di veramente utile, anche se non hai ben capito cosa, quando l’azienda va a rotoli e fallisce. Queste sono persone interessanti, che hanno storie da raccontare. Persone che sono state nell’arena. Ci sono un sacco di cose che probabilmente non proverò mai nella mia vita. Il combattimento militare. Essere il dittatore di un piccolo stato del Centro America. Fare una schiacciata a basket. Diventare una famosa rock star. O camminare su Marte. Ma una cosa che sono stato, e sarà per sempre, è essere un imprenditore. E, cazzarola, è una cosa che fa sentire bene. Perché se oggi fossi un avvocato, magari un ricco avvocato, mi sarei sempre chiesto se avessi avuto la stoffa di fare della mia vita qualcosa di più avventuroso che lavorare per qualcun altro. Liberamente tradotto da Are You A Pirate? di Michael Arrington.