Scrivo da anni della necessitĂ  di nuove metriche per siti e pubblicitĂ  online, metriche ancor oggi eccessivamente ancorate agli utenti unici e soprattutto alle pagine visualizzate, le cosiddette pageview. Il dibattito è tornato caldo in questi ultimi giorni, ben sintetizzato da questi 2 post di Pier Luca Santoro. Santoro parla di engagement, di tempo speso sul sito, di fidelizzazione dell’utente (propensity to return), mentre Troy Young di Hearst, su Advertising Age, parla invece di write, read, inspire, connect: le 4 parole d’ordine di chi fa editoria online dovranno essere – a suo parere – scrivi, leggi, stimola, connetti. Il tema del passaggio a nuove metriche, da quantitative a qualitative, è senza alcun dubbio avvincente. Taroccare utenti unici e pagine visualizzate è ormai un classico per molti editori online: per guadagnare pageview vengono usate tecniche evidenti anche al profano (come il classico auto refresh dell’home page dei piĂą noti quotidiani), ed altre un po’ piĂą sofisticate e meno lampanti a primo acchito (come l’acquisto di traffico su keyword dai bassissimi costi, da network di pessima qualitĂ , per non parlare di webpage che si aprono dentro iframe da 1×1 pixel o via popup/popunder). Grazie a questi numeri gonfiati, l’editore ha piĂą pagine a disposizione da poter vendere, ha un rank migliore all’interno di Audiweb/Nielsen (e altri sistemi di rilevazione utilizzati dai centri media), e guadagna quindi di piĂą dalla vendita dei suoi spazi pubblicitari. Questo per riassumere – e semplificare – le anomalie che da anni si trascinano e tengono ancora oggi in piedi il duopolio “editoria online-pubblicitĂ  online”. Oggi i nodi sembrano giunti al pettine, al punto che Google ha tirato fuori dal cilindro il concetto di Active View: siccome i banner non vengono piĂą visti/cliccati da nessuno, devo inventarmi un modo per dimostrare all’inserzionista che c’è rimasto ancora qualcuno che osserva i quadratini pubblicitari, anche se magari sono messi in fondo alla pagina o in luoghi dove – almeno in teoria – l’occhio non dovrebbe cadere. Ma siamo ancora lontani dalla “qualitĂ  dell’utente”, e probabilmente non ci arriveremo mai, perlomeno su larga scala. Un utente di qualitĂ , per l’editore, è qualcuno che accede al sito direttamente e spesso (=lo conosce, non atterra da un motore di ricerca) che commenta (=interagisce e aggiunge contenuto), che condivide i contenuti che fruisce (=diffonde sui social ciò che ha appena letto): in sunto, un utente che permette all’editore di fare, in modo costante, un bel po’ di pageview. Un utente di qualitĂ , per l’inserzionista, è invece qualcuno che guarda i banner, clicca su di essi e infine compie una “azione di conversione” (=compra il prodotto/servizio promosso sul banner, compila un form, etc.). Questi 2 utenti sono sovrapponibili? Non è detto 🙂 Anzi, semmai è vero il contrario. L’utente fidelizzato conosce a menadito il sito dell’editore, sa benissimo dove sono i contenuti e gli spazi pubblicitari, con la conseguenza che si concentra sui primi evitando accuramente i secondi. Fa pagine, ma non click. L’utente che arriva per caso, da un motore o da un social, magari perchĂ© cercava informazioni mirate all’acquisto di un determinato prodotto/servizio, è invece piĂą propenso a cliccare su un annuncio pubblicitario, se pertinente e ben contestualizzato. Fa click, ma non pagine. L’obiettivo di ogni azienda che fa pubblicitĂ  (online o offline) sono le conversioni, le vendite, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale. Cose piĂą difficili da misurare, come tutte le paroline magiche che girano attorno al branding, hanno il fiato corto da qualche anno a questa parte. La soluzione? Secondo Troy Young, passa dalla Native Advertising: “Integrare la pubblicitĂ  nei contenuti in un modo piĂą raffinato, e renderne il consumo interessante e senza attrito, è da sempre il problema della pubblicitĂ  tradizionale. Ora è giunto il tempo di dare del valore agli utenti, o sei morto. E’ l’evoluzione naturale.” Il futuro di editoria e pubblicitĂ  online, è dunque in una forma riveduta e corretta dei cari e vecchi “pubbliredazionali”?