la verità ai tempi di facebook

Dopo il post sul rapporto fra verità e Google, oggi è il turno di una riflessione circa la relazione che intercorre fra la verità e i social, e in particolar modo Facebook. Come scrivevo nell’altro post, “Google è un mediatore neutrale, un bibliotecario che semmai propone all’utente incerto i libri che lui ritiene più autorevoli su un certo tema, in base a suoi parametri validati da altri utenti: restando in questa metafora, potrebbe consigliare un libro che tanti altri lettori continuano a prendere in prestito, senza curarsi troppo della qualità o del contenuto del libro stesso.”

Nel caso del motore, siamo quindi di fronte ad una macchina che decide ed ordina i risultati – dal migliore al peggiore – e poi ce li propone, cercando di intuire l’intento dell’utente che effettua la ricerca (vedi Hummingbird). Si presume tenga conto, fra le altre cose, della user experience (almeno per quanto riguarda il mobile), del bounce rate, e – più in generale – del livello di gradimento dell’utente rispetto alla risorsa proposta in SERP. Ma anche se Google sta sviluppando da tempo algoritmi di tipo predittivo, il nostro rapporto con il motore è (nella stragrande maggioranza dei casi) interrogativo: scriviamo/pronunciamo una richiesta, otteniamo una risposta, e clicchiamo/”tappiamo” poi sul risultato che ci compare davanti.

E se non lo gradiamo, torniamo indietro sulla SERP, e visitiamo un altro URL della lista. Su Facebook si opera in tutt’altro modo. Sebbene Facebook abbia una sorta di suo motore di ricerca, in realtà ben pochi scrivono qualcosa nel rettangolino bianco posto in alto alla destra del logo. Il tipico utilizzo di Facebook è concentrato su una sorta di “scrolling ipnotico” del News Feed. L’utente medio apre il sito del social (o, sempre più spesso, l’applicazione sul suo smartphone o il suo tablet) e si focalizza immediatamente sulla colonna centrale, all’interno della quale scorrono i contenuti postati dai suoi contatti (e qualche annuncio sponsorizzato).

Legge le 2 righe di testo, guarda l’immagine o l’anteprima del video e immediatamente, se il contenuto è minimamente interessante, fa una delle 3 azioni possibili: clicca su “mi piace”, lascia un commento, o condivide ciò che ha appena fruito. La 3 azioni sono ordinate, probabilmente non a caso, per “livello di fatica”.

  • Il “mi piace” è per i più pigri: ruba solo un secondo, ed è equiparabile ad una sorta di “cenno di approvazione”.
  • Il commento è per chi vuol dire la sua: può essere un rafforzativo al “mi piace”, o anche una spiegazione veloce del “perché non sono d’accordo”.
  • Il condividi è un po’ la somma delle 2 cose: dici che il contenuto ti piace a tal punto che merita di essere condiviso, magari con un commento in aggiunta.

In tutti e 3 i casi, quello che emerge dalla stragrande maggioranza delle interazioni è la superficialità.

Lasciando stare Umberto Eco e la sua ormai famosa sparata di qualche giorno fa – “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli” – è comunque vero e incontrovertibile che l’utente medio di Facebook tende a credere a qualsiasi contenuto gli venga posto di fronte, soprattutto se sembra vagamente autorevole e/o ben impacchettato.

Spesso tale utente compie una azione “compulsiva”, che lo porta a cliccare su un bottoncino senza approfondire l’eventuale link presente nel post. Al punto che siti come Lercio creano spesso notizie costituite solo dal titolo e da una immagine: il contenuto è superfluo, e il “mi piace”, il commento o il condividi è comunque garantito.

A proposito di Lercio: un annetto fa, parlando della morte del giornalismo, puntavo il dito proprio contro questo sito (assieme ad altre “testate” che si occupavano della diffusione di notizie bufaline, come il Corriere del Mattino, la Gazzetta del Nord, Notizie Pericolose e il Corriere del Corsaro). Tutti siti che “strappano spesso un sorriso, ma al prezzo di confondere i lettori meno accorti che scambiano la bufala per verità, riamplificandola, ripubblicandola e condividendola con i loro contatti, in un gigantesco turbine dove non si capisce più dove finisce lo scherzo e inizia la notizia vera”.

Se alcuni possono “giustificare” il taglio di questi siti, fra la satira spinta (Lercio) e la panzana inventata a tavolino, esiste però anche un ampio filone di siti di controinformazione (politica, economica, finanziaria), cospirazionisti o complottisti che riesce ad ottenere sui social una visibilità incredibile, oserei dire “immeritata”.

Sarà per il fatto che certe strampalate teorie (false) sono molto più affascinanti di certe seriose notizie (vere), sarà per il fatto che certa gente vuole credere e autoconvincersi di ciò che ha già in testa (Confirmation Bias), sarà che siam portati naturalmente a fidarci di quello che i nostri contatti, soprattutto se “autorevoli”, condividono (le affermazioni fatte da persone autorevoli sono fortemente persuasorie, ci insegna Robert Cialdini). Sta di fatto che su Facebook non riesco davvero più a distinguere il vero dal falso, la notizia utile dalla bufala.

Al punto che non mi fido più di nulla, nemmeno di ciò che viene postato dai miei contatti più stretti, nemmeno dei bellissimi aforismi che vedo girare (visto che spesso sono inventati e poi attributi a casaccio a personaggi famosi),

Aforisma falso

men che meno di certe foto che fanno leva sugli istinti più bassi (e che si rivelano poi assolutamente false):

Foto falsa

Quindi all’informazione che parte dal basso, diffusa da altri esseri umani, alla “serendipità” che dovrebbe aiutarmi a scoprire cose utili mentre non le sto cercando, arrivo alla fine a preferire quella filtrata dall’intelligenza dell’algoritmo di un motore di ricerca, e soprattutto quella che vado a cercare/catalogare io, di mia volontà. Leggo i miei pochi e selezionati feed, cerco (quando possibile) conferme incrociate di ciò che leggo, ma non considero Facebook come fonte di informazione “vera”: lo strumento che, in teoria, dovrebbe aiutarmi a trovare contenuti particolari, originali, “non convenzionali”, si rivela in realtà un fiume dove scorrono (quasi) solo gossip, bufale e contenuti atti a far perdere del gran tempo, come molto ironicamente mostra questa immagine:

I contenuti su Facebook

Buono per le chiacchiere da bar, per tirar sera, ma non per chi è in cerca di “verità”.

Max Valle

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