Se pensi che i siti di notizie ricevano la maggior parte del traffico da gente che va su Google e fa ricerche per certe parole chiave, ti sbagli di grosso.
Con l’avvento degli smartphone, le abitudini di fruizione delle notizie sono cambiate lentamente ma radicalmente: in un decennio si è passati dal 100% di visite via desktop ad un 20%-30%. In alcuni siti di news anche meno.
Insomma, è il mobile che oggi regge le pageview (e quindi il fatturato…) di tantissimi siti di informazione: nel post oggi approfondirò il binomio mobile-Google, tralasciando per il momento il traffico veicolato dai social (che per certi siti è importante tanto quello generato dai motori, se non di più).
Tutto iniziò con Google Now…
Anche se il progetto, almeno con questo nome specifico, è ormai morto e sepolto da tempo, la landing page di Google Now è ancora attiva.
Google Now fece la sua comparsa a metà del 2012, con l’obiettivo di fornire all’utente “le informazioni giuste al momento giusto”. Il sistema, inizialmente disponibile solo su Android, mostrava schede utili con le informazioni che ti servono nel corso della giornata, visualizzate ancor prima che tu le chieda.
Possiamo quindi parlare di una sorta di ricerca predittiva: Google cerca di immaginare la prossima cosa che cercherai, o i tuoi bisogni e le tue necessità, in base alle informazioni che recupera su di te nel corso del tempo.
Per esempio, Google Now potrebbe avvisarti di partire mezz’ora prima per andare ad un appuntamento, perché leggendo il tuo calendar, sapendo la tua posizione attuale e analizzando il traffico sul tuo percorso, potrebbe aver visto un incidente.
Unendo i puntini all’indietro, potrei affermare che il prodotto è figlio di una dichiarazione che Eric Schmidt, allora amministratore delegato di Google, fece un paio di anni prima (Agosto 2010) al Wall Street Journal:
I actually think most people don’t want Google to answer their questions. They want Google to tell them what they should be doing next.
Che tradotta suona più o meno così:
Penso che la maggior parte delle persone non vuole ottenere da Google una risposta alle loro domande. Vogliono che Google dica loro cosa dovrebbero fare in seguito.
Nel parlato comune Google Now è stato pian piano sostituito da Google Feed (che è più un concetto che un prodotto di Google), e nel Settembre 2018 ha fatto la sua comparsa Google Discover.
Cosa è Google Discover?
Discover è un po’ l’evoluzione di Now e Feed, ma se Now era più simile ad un assistente virtuale (e, quindi, all’attuale Google Assistant) Discover è fondamentalmente un feed reader “intelligente”.
Google descrive così il suo prodotto:
Discover mostra agli utenti un insieme di contenuti scelti in base alle loro interazioni con i prodotti Google o in base ad argomenti che loro stessi scelgono di seguire.
Come faccio ad entrare in Discover?
Eccoci giunti al punto che più interessa a chi fa SEO.
Secondo la stessa guida di Google,
il ranking dei contenuti in Discover dipende da un algoritmo che gestisce ciò che secondo Google un determinato utente potrebbe ritenere più interessante […] pertanto non ci sono metodi che consentono di migliorare il ranking delle tue pagine, se non quello di pubblicare contenuti che ritieni possano interessare agli utenti.
Non occorrono né tag speciali né particolari dati strutturati per l’inclusione in Discover: le tue pagine sono idonee semplicemente se Google le indicizza e soddisfano le norme relative ai contenuti di Google News.
Google stabilisce il ranking dei contenuti di Discover tramite un algoritmo basato sulla qualità dei contenuti e sulla corrispondenza più o meno alta tra i contenuti della pagina e gli interessi dell’utente.
E chiude con un suggerimento tecnico:
Utilizza immagini grandi, di alta qualità, che abbiano una larghezza di almeno 1200 px.
Giorgio Taverniti ha condensato questi suggerimenti in una immagine, che ha chiamato “la piramide SEO di Google Discover”.
Se vuoi approfondire il suo punto di vista sulla questione, ti consiglio la visione di questo video:
Le etichette di Discover
Ad ogni contenuto che finisce dentro il feed di Google Discover, viene apposta una etichetta che lo contraddistingue.
Tale tag viene generato in modo automatico da Google, e il tag stesso può essere un termine che NON esiste all’interno del testo: per esempio, i contenuti che parlano di SEO vengono spesso taggati con il termine “Ottimizzazione“, anche se tale parola non è mai presente nell’articolo.
Quanto traffico porta Discover?
Tanto, per alcuni siti tantissimo.
Da poco, all’interno di Search Console, è disponibile un report che ci mostra la percentuale di clic e il dettaglio dei singoli articoli che hanno generato questo traffico.
Qui sotto puoi vedere un sito da circa 10 milioni di pageview/mese che fa più di 1/5 del traffico solo con Discover.
Ovviamente, per poter ottenere tali risultati, il pre-requisito è la presenza del sito all’interno del feed e soprattutto la capacità di scegliere con cura i temi e la tipologia degli articoli da pubblicare: posso garantirti che ci sono parole chiave da decine di migliaia di view in poche ore, ma devi sapere come trovarle…
Posso vedere il traffico di Google Discover da Google Analytics?
Prendi questa risposta con le pinze perché NON sono un tecnico.
Se vai all’interno dell’analytics di un sito di news, e vai sotto Acquisizione -> Tutto il traffico -> Sorgente/Mezzo, otterrai probabilmente una schermata simile a questa:
Ci sono 2 voci, in particolare, che sono cresciute a dismisura negli ultimi mesi:
com.google.android.googlequicksearchbox
googleapis.com
Non ne ho la certezza assoluta, ma documentandomi qua e là mi sembra di aver capito che questi 2 referral identificano in larga parte il traffico generato da dispositivi Android e da Google Discover: ti faccio notare che sono la seconda e la quarta fonte di traffico…
Ma quindi, in Google Analytics, non c’è un referrer che identifica Discover?
No, purtroppo non c’è. E a quanto si legge da questo tweet di John Mueller, è assai probabile che non ci sarà mai…
Da Google Pull a Google Push
Se 20 anni fa si passava dalla home page del sito per poi leggerne i contenuti, oggi non è più così.
I contenuti ci arrivano addosso anche se non li stiamo cercando attivamente. Non andiamo più sui siti per cercarli. Non andiamo nemmeno più sul motore di ricerca.
Si sta configurando quello che, usando termini del secolo scorso, è il passaggio da pull a push: se per qualche anno ci eravamo illusi di poter scegliere quante e quali informazioni andarci a prendere (pull), ora le informazioni che (in teoria) ci piacciono ci arrivano addosso (push), passando attraverso lo schermo di uno smartphone.
E come mai i SEO non parlano di questo scenario? Perché sono stati spesi fiumi di inchiostro sul “posizionare una keyword ad alto volume di ricerca”, e non sul “ecco come pushare contenuti sugli smartphone degli utenti”?
Io una idea del perché me la sono fatta. Il motivo è che chi capisce come entrare (bene) in Google Discover, Top Stories e Google News (notifiche), ha in mano la gallina dalle uova d’oro. E non va certamente in giro a regalare le uova (o a mostrare la gallina)…
Autore: Davide Pozzi per Max Valle