Siccome non sono mai stato un fan di Wired e neppure un amante del gossip, mi è davvero difficile ricostruire i dettagli di tutta la vicenda “Wired + Internet for Peace”: chiedo quindi perdono in anticipo per le inesattezze che scriverò, sperando che “mi corriggerete” 🙂 nei commenti. Ecco una breve cronologia dei fatti: 08.10.2010 – Riccardo Luna pubblica Una bellissima campagna, articolo nel quale plaude alla vittoria di Liu Xiaobo e annuncia che NON ripresenterà la candidatura di Internet al Nobel per la Pace. 08.10.2010 – Lo stesso giorno, Mirko Pallera pubblica [SCOOP] La verità su Wired e la campagna Internet for Peace. In parole povere, si scopre (per chi non l’avesse intuito fino a quel momento…) che Internet for Peace è stata la “più grande campagna – di marketing – mai realizzata negli ultimi anni”. Da quell’istante iniziano ad animarsi i dibattiti (fra tutti, consiglio la lettura di Nobel per la pace: le persone sconfiggono il marketing di Massimo Cavazzini) che “costringono” il direttore di Wired a scrivere un ulteriore articolo di chiarimenti: 11.10.2010 – Riccardo Luna pubblica Internet for Peace non è stata una campagna di marketing, dove risponde alle 8 principali critiche che gli sono state mosse contro. In estrema sintesi, Luna da un lato difende la “purezza” dell’operazione assicurando di sposare fino in fondo la causa di Internet for Peace; Pallera, dall’altro, sposta la barra sulla campagna di comunicazione, sulla strategia che sin dall’inizio voleva delineare Wired “come una specie di organo politico di un movimento culturale e sociale”. Ebbene, dal basso della mia ignoranza, mi son subito venute in mente 2 cose. La prima è che la parola Marketing, più o meno, significa “piazzare – un prodotto o un servizio – sul mercato”. Potrai dirmi che non è così, che il marketing oggi è cambiato, che siamo nell’era del societing, del “marketing conversazionale”, e chi più ne ha più ne metta. Sarà pur vero, ma gli obiettivi finali di una azione di questo tipo son sempre gli stessi: aumentare il valore del brand nell’immaginario collettivo, raggiungere il maggior numero possibile di utenti al minor costo possibile, vendere il prodotto/servizio e far soldi. La seconda cosa è scritta sull’immagine che ho utilizzato in testa a questo post: “Tutti i marketer sono bugiardi” (o “tutti i marketer mentono”, se preferisci). Guardacaso, l’ultima pagina di quel libro di Seth Godin si chiude in questo modo: “SE sperate di vendere un prodotto, un servizio, un candidato o un’organizzazione che condiziona le sensazioni altrui, E SE sperate di ottenere un premio (in denaro, in quota di mercato o in voti) per le sensazioni suscitate, ALLORA dovete riorganizzarvi. Concentratevi sulla storia che raccontate. La storia condiziona il modo in cui il pubblico percepisce il prodotto. La storia, a ben guardare, è il prodotto. ALCUNI CONSUMATORI non presteranno ascolto o rifiuteranno di credere alla vostra storia. Va bene così. Raccontatela a chi vuole ascoltarla, a chi vuole crederci, a chi la racconterà agli amici. PRIMA di iniziare a raccontare, non avete alternativa: dovete vivere la storia in prima persona per renderla autentica. Ogni vostra azione e ogni segnale che inviate deve confermarne l’autenticità. INFINE, siate consapevoli del grande potere di cui disponete e usatelo per agire nel modo giusto, per dire la verità e per diffondere idee che meritino davvero di circolare“. C’è altro da aggiungere?