Avete per caso letto il libro “Snow Crash“? No? Beh, dovreste farlo perchè tratta di un argomento molto attuale ovvero dell’identità online. Snow Crash è un romanzo di Neal Stephenson appartenente al filone post cyber punk, ed ha come caratteristica peculiare di essere il primo libro ad aver parlato di “Metaverso” ovvero di un mondo parallelo contenente tutte le caratteristiche del mondo reale, dall’aspetto fisico, ai nostri ricordi ai nostri gusti. In una parola, la nostra identità. Oggi, se parliamo di Metaverso, pensiamo probabilmente al mondo virtuale di Second Life, “gioco” grafico online nel quale ognuno di noi può prendere le sembianze di un avatar che lo rappresenta e girare il mondo virtuale, in lungo ed in largo, facendo esperienze, comunicando, parlando e facendo tutto quello che si fa nella real life, o quasi. Le gravi mancanze di Second Life, i motivi che ne hanno rallentato lo sviluppo, sono certamente l’acerbo grado di una tecnologia che non è ancora pronta per muovere milioni di avatar in 3D su dei server, e la mancanza di una personalizzazione completa, ossia la mancanza di una identità precisa, cucita sul nostro avatar, e che ci rappresenti in pieno. Il nostro piccoletto digitale si muoverà, parlerà, volerà e farà acquisti, ma che cosa gli piace davvero? Come possiamo conoscerlo se prima non ci interfacciamo con lui? Grazie alla Grande Mamma Rete, una delle rivoluzioni che stiamo vivendo è proprio quella di sapere moltissimo di altre persone senza conoscerle veramente, ma googlandole o cercando sui profili social, i quali stanno diventando una vera e propria forma di identità. Ora, io credo moltissimo in Second Life, o meglio credo moltissimo che non passeremo la nostra vita a cliccare su del link testuali, ma ci sposteremo presto verso una tecnologia che fonderà il nostro mondo con il mondo digitale creando appunto un metaverso vivibile, ma per fare questo e per rendere il tutto un successo abbiamo bisogno di una forte identità che ci rappresenti, una trasposizione digitale che sia, niente di più e niente di meno, quello che siamo noi. Ora, non vi sembra che Facebook sia esattamente questo? Riflettiamoci un attimo: fino a non troppo tempo fa per entrare in un qualunque “sistema chiuso” come un forum, una Web application o qualunque cosa che richiedesse una nostra identificazione, si era obbligati alla registrazione, con nome utente, password e mail. Per ovviare a questa seccatura e per aggirare il problema delle miriadi di password seminate in giro, sono nati molti sistemi, come l’ottimo OpenID il quale fornisce una identità unica e associa un url univoco alla nostra persona, ma si sa bene, gli standard non vengono imposti dalle aziende, ma dai mercati. Quindi Facebook (ed anche Twitter ovviamente) hanno iniziato a rilasciare le loro API per far interfacciare il social network con tutto il resto, facendo si che ci possa loggare quasi ovunque utilizzando l’utenza Facebook: così il nostro ospite saprà chi siamo, come ci chiamiamo, quanti anni abbiamo, che cosa ci piace, il nostro indirizzo mail e tante altre cose, cose che ovviamente in genere rimangono private anche se la direzione presa pare essere questa, ovvero la condivisione del tutto. Di fatto quindi Facebook sostituisce la nostra identità nel momento in cui siamo online, proiettando la nostra ombra di bit completa non di tridimensionalità (come avveniva in Second Life) ma di foto, di musica, di video, di applicazioni, di amicizie, di gusti e di ricordi. In una parola, per tornare al discorso iniziale, di identità. Beh, a questo punto chi mi dice che tra 3 o 5 anni Facebook non “evolva” verso una piattaforma 3D capace di generare il nostro avatar, di creare una nostra casa virtuale (la nostra bacheca dentro la quale gli ospiti trovano tutto di noi) alla quale abbinare delle finestre per far si che la gente da fuori, i non-amici, possano sbirciare? Non sarebbe così inverosimile, vero? Pensateci: la vostra bacheca diventa un appartamento, nel condominio che rappresenta la vostra città. La casa-bacheca è composta da finestre che si possono oscurare o meno in base al livello di privacy da voi scelto, e potete interagire con gli altri attraverso una timeline virtualizzata a sua volta nel Facebook di domani, con un flusso verticale di informazioni come erano le auto in caduta libera nel film Minority Report. In fondo non sono pazzo, ma solo un tantino visionario, sarà stato il troppo cyber punk: a quel punto la migrazione sarebbe completa e la nostra identità sarebbe semplicemente esportata in formato digitale, (trasfigurata dirà qualcuno) e noi saremo, in digitale, sempre di più quello che siamo in carne ed ossa. Autore: Rudy Bandiera di Net Propaganda, per il TagliaBlog.