Anche se leggo che il numero dei blog è in lieve e continuo aumento, e che l’editoria cartacea finirà inevitabilmente per trasferirsi online, spesso mi chiedo per quanto ancora leggerò articoli (ben) scritti da “mani umane”. Il giornalista-robot giapponese, o quello americano, sono infatti già realtà da un paio d’anni: per ora sembrano molto forti nell’ambito degli eventi sportivi, dove la mole di dati statistici generati dai giocatori in campo riesce ad essere facilmente masticato e rigurgitato dalla macchina sotto forma di articoletti leggibili. Un domani chissà.
Il progetto americano si chiama Stats Monkey, e questo è il suo motto: “Immagina di poter schiacciare un bottone, e magicamente creare un contenuto su una partita di baseball. Questo è ciò che fa Stats Monkey. Prende informazioni comunemente disponibili su vari sport e genera automaticamente un contenuto testuale che cattura la dinamica del gioco e mette in evidenza la azioni chiave e i protagonisti principali. Il contenuto include un titolo appropriato e la foto del protagonista della partita.” Che detta così sembra lavori quasi meglio di tanti blogger e giornalisti.
Stats Monkey è il nome dello scribacchino automatico, Monkey come scimmia. Mi ha ricordato, chissà poi perché, Amazon Mechanical Turk. Forse perché la parola turk, senza il mechanical davanti, in lingua inglese significa turco – e quindi una persona umana – ma se ci metti in fondo ey (=turkey) diventa tacchino. E su Amazon Mechanical Turk tu puoi assumere persone umane per fargli fare lavori da tacchino. Pagarli qualche spicciolo per fargli fare cose come prendere 200 account su Twitter, ordinarli per rank, e mettere al loro fianco 5 aggettivi, come suggerisce di fare Matt Cutts in questo video sul “white hat linkbait”.
Cose che forse riuscirà a fare anche Stats Monkey, in una delle sue prossime versioni. Ma siccome oggi il software ancora non ci arriva, ecco che si preferisce assumere manodopera sottopagata, schiavi digitali che lavorano per pochi dollari a pezzo. Vedi il caso di Journatic. Il servizio, che fornisce notizie a varie testate americane è basato su un software che promette di operare una prima scrematura redazionale e quindi di curare la cronaca locale. In realtà si è scoperto che il grosso del lavoro – nel caso del Chicago Tribune – veniva fatto da filippini, pagati 2-4 dollari ad articolo.
Veniva fatto da esseri umani, non da algoritmi. Probabilmente perché l’uomo, in alcune parti del mondo, costa meno della macchina. E finché ci saranno persone che scrivono per un piatto di lenticchie, e lettori ai quali van bene contenuti stile “catene di Markov”, questo sarà il giornalismo che ci toccherà leggere.