Da qualche giorno, è montato il dibattito attorno all’immagine che Parse.ly ha pubblicato circa le principali fonti di traffico di 400 siti web (di noti editori online) che monitora. Il diagramma qui sopra, che mette a confronto Facebook e i “siti di Google” (incluso Google News), mostra l’ormai avvenuto sorpasso del social ai danni del motore di ricerca, sorpasso avvenuto a Giugno 2015 dopo un primo tentativo a Ottobre 2014. Se poi andiamo ancor più nel dettaglio, possiamo notare che tutti i social assieme arrivano al 43% degli accessi, mentre la search si ferma al 38%. Il resto sono briciole (o quasi).
Riassumendo: i social, e in particolare Facebook, sono oggi la principale sorgente di traffico per un sacco di editori online (anglofoni), scalzando dalla vetta il più noto motore di ricerca del web. Nonostante i soliti social lover (o, se preferisci, Google hater) si siano affrettati a festeggiare il sorpasso, vorrei dimostrare che non è tutto oro quello che luccica. Lo faccio con 2 piccole riflessioni:
Non è tanto Google che scende, quanto Facebook che sale
In molti potrebbero pensare che la crescita del traffico da Facebook sia andata a discapito di Google. “Se Facebook sale, è perché Google scende”, potrebbe pensare qualche sprovveduto. E invece non è affatto così: dall’immagine si nota chiaramente che dal 2012 a oggi il traffico da Google (verso i siti web presi in esame) è rimasto più o meno lo stesso, attorno al 35%. Semmai è il traffico da Facebook ad essere cresciuto enormemente, passando da circa il 10% a quasi il 40%. La vera domanda è quindi un’altra: quel 30% di traffico guadagnato da Facebook, a quale fonte è stato sottratto? Non certo al più popolare fra i motori di ricerca…
L’editoria “fatta apposta per Facebook”
C’è poi tutto un discorso che va molto più in profondità, e che su questo blog ho affrontato più volte nel corso degli ultimi anni: quello del futuro del giornalismo, dell’editoria, dei contenuti. Quelli qui sotto sono i best publisher fra i circa 400 siti monitorati da Parse.ly.
Ora, senza voler fare quello che difende a tutti i costi un certo modo ingessato di fare informazione, prendo 3 nomi dalla lista di questi “migliori editori”:
- Cheezburger: chi non conosce Lolcats, il più famoso sito di gattini del web? O FAIL Blog? Ecco, sono 2 blog che fanno parte del network di Cheezburger. Capisco che Ben Huh (il personaggio che gestisce questo network di siti web) si è posto l’obiettivo di “rendere felici gli utenti per 5 minuti al giorno“, ma questa “condivisione di felicità” passa esclusivamente da meme e immagini buffe, che hanno vita facile su Facebook (e che vengono invece cercate molto meno su Google).
- Mashable: l’ho eliminato mesi fa dal mio feed reader, dopo che in una sola giornata ha pubblicato DECINE di news sul vestito bicolore (“lo vedi bianco e oro o blu e nero?”) e su dei lama fuggiti da uno zoo. Solo da questi 2 temi, puoi facilmente capire che cosa è diventato quello che una volta era uno fra i “siti top” in ambito tecnologico: oggi si è allargato a settori e temi da “puro traffico social”, lontanissimi dalle tipiche query che si digitano sui motori di ricerca.
- Upworthy: insieme a Buzzfeed è uno dei “piccoli miracoli” del nuovo giornalismo online. Pensa solo che è passato da zero a 6,2 milioni di utenti unici in un anno, crescendo poi fino all’incredibile cifra di 87 milioni di visite a Novembre 2013. L’obiettivo primario di Upworthy è quello di creare contenuti virali, che gli utenti non vedono l’ora di condividere con i loro amici. Arrivano a scrivere fino a 25 titoli per ogni post, titoli che vengono tutti messi sotto rigorosi A/B test per determinare quello che performa meglio su Facebook. Applicano insomma la raffinata arte del clickbait, ai massimi livelli.
E se vogliamo andare a prendere gli articoli dell’illustrissimo New York Times, che nel corso del 2015 han preso più like e condivisioni su Facebook, possiamo notare che non sono certamente quelli “impegnati”:
al primo posto figura infatti la sezione Cooking (cibo/ricette) del quotidiano, mentre i pezzi di giornalismo investigativo non hanno ormai più alcun appeal.
Conclusione
E’ estremamente difficile definire cosa è oggi l'”editoria online”. Per esempio, ricordo che anni fa partecipai ad un evento presso la sede di Google Italia, dove fra quelli che Google definiva “i migliori editori AdSense” c’erano un sito di chat e uno di oroscopi. Se partiamo quindi dal presupposto che “editore = qualcuno che pubblica qualcosa online”, ecco che usciamo totalmente dalle logiche del vecchio giornalismo tutto d’un pezzo. Gli editori, ad esempio, possono essere:
- Guide e contenuti sempreverdi. Pensa a Wikipedia. Pensa ai siti che spiegano “come fare a…” (tipo quello di Salvatore Aranzulla). Questo genere di siti non potrà mai fare traffico importante dai social, perché nascono per intercettare delle domande precise dai motori di ricerca, e non per fare accessi “da click compulsivo” su Facebook.
- Quotidiani online. I grossi nomi tipo Corriere.it o Repubblica.it, invece, fanno un sacco di traffico diretto: apri il browser, digiti l’URL, e vai a leggere i fatti del giorno. Un’altra grossa fetta arriva però dalle notizie leggerine e gossippare condivise su Facebook, ed ecco emergere la tristissima deriva dei contenuti di questi big brand, alla quale stiamo assistendo da qualche tempo a questa parte: gli articoletti pruriginosi che fino a pochi anni fa erano relegati in una piccola “colonna di destra”, oggi fanno la parte del leone.
- Blogger di ogni genere e specie. Anche questi sono (piccoli) editori. E fanno traffico nei modi più disparati: per esempio, parlando tempo fa con una “fashion blogger”, mi raccontava che il grosso del traffico che riceveva era fatto da una sorta di “scambio commenti” su altri blog del settore. La pratica comune in quell’ambito, sembrava essere “io commento da te, tu commenti da me, ed entrambe guadagniamo una visita”.
Capisci quindi che ogni editore ha un profilo di utenti e visite molto diverso dall’altro, perché lavora su contenuti, temi e target che non possono essere messi a confronto. La tristezza è semmai quella di notare come molti siti abbiano sposato la causa del “traffico a tutti i costi”, che trova spesso su Facebook il suo miglior fornitore: sul social intercetti l’utente che scorre uno stream di news variegate, e devi quindi colpirlo con titoli, frasette ed immagini che fanno spesso leva su bisogni primari e bassi istinti. Il giorno in cui verrà premiato (e ben pagato) il contenuto e il traffico “di qualità” (e NON la quantità), è ancora molto, molto lontano… nel frattempo tanti editori attingeranno a piene mani dai click provenienti dal profondo pozzo di Facebook, con buona pace di Google.