All’inizio degli anni ’90 – ero un gionvincello e avevo ancora i capelli – lavoravo per una multinazionale a Milano. Già allora mi sorprendeva il fatto che ci fossero colleghi/colleghe che ad Agosto prendevano un mese intero di ferie. Da sempre, tutti i santi anni, staccavano dall’1 al 31.

Ricordo una Milano deserta, da coprifuoco, con pochi negozi aperti ma col vantaggio di metterci pochi minuti – anziché ore – per spostarsi in macchina da casa al lavoro. Io infatti amavo lavorare in Agosto e scaglionare le ferie durante l’anno: ricordo quando un anno, per mesi e mesi, presi tutti i venerdì di ferie, mentri i colleghi mi guardavano come un alieno (chissà poi cosa c’è di strano a fare un giorno di ferie ogni settimana, anzichè sempre quel mese fisso per tutta la vita…). Son passati circa 20 anni da allora, ma noto che nulla è cambiato: ci portiamo dietro ancora quella mentalità da ferie di tipo scolastico. Anche chi lavora online, anche chi non è legato alla chiusura di una fabbrica, appende (più o meno virtualmente) sul proprio sito web il cartello “chiuso per ferie”. Addirittura qualche ecommerce lo fa. Mi intristisce, anzi mi fa rabbia che per almeno 4-5 mesi all’anno l’italiano medio non pensi ad altro che a pianificare le ferie, andare in ferie e raccontare delle ferie. Se chiami certe persone di certe aziende a giugno ti rimandano a settembre, se le chiami a inizio dicembre ti rimandano a metà gennaio: “voglia di lavorare saltami addosso“, direbbe un vecchio proverbio. La voglia di reagire, di cambiare, di innovare, sembra inesistente, anche quando gli eventi precipitano. “I fatti non cessano di esistere soltanto perchè noi li ignoriamo” diceva Aldous Huxley, citato in questo bell’articolo di Amenduni. In questo squallido scenario mi sembra quindi scontato che la nostra classe politica chiuda i battenti e sparisca per settimane – d’altra parte non è che durante il resto dell’anno si ammazzino di lavoro… – crisi o non crisi economica. La gran parte degli onorevoli, senatori e classe dirigente sono lo specchio di un paese ingessato, un paese che si comporta come il famoso coniglio abbagliato dai fari dell’automobile (di cui parlava l’Economist alcuni giorni fa). Un paese che continua a pensare a “tenere”, anziché a fare, a lavorare, a scervellarsi per creare qualcosa di memorabile. Il “Think Big” non abita qui, e chi lo ha nel DNA è già scappato da tempo, o probabilmente sta pensando di farlo. Prima del fallimento.