Le discussioni di questi giorni mi impongono l’ennesimo post sul tema dell’editoria online e dei contenuti, tema che si alimenta di continui spunti di discussione creati dalle tante fazioni contrapposte. Ognuna di queste correnti ha le sue ragioni e i suoi principi, viene da storie ed esperienze diverse, vive la rete e vede il business online in modi differenti, ma alla fine chi “scrive per il web” (e col web ci vuole campare) deve comunque rispondere alle stesse logiche e regole. Vittime delle pageview Il “problema”, se così possiamo chiamarlo, nasce dalle pageview (o “pagine visualizzate”, per dirlo all’italiana), che vanno a braccetto con gli unique users (=”utenti unici”). Se hai deciso di fare l’editore online ma non macini traffico, e quindi utenti, e quindi pagine, NON fai soldi. E’ forse vero che, come disse Shel Israel, bastano pochissimi lettori molto influenti per rendere un sito autorevole. Ma, aggiungo io, con quei pochissimi lettori non ci campi. Perché pochi lettori leggono poche pagine, cliccano/visualizzano pochi banner, e il meccanismo che porta soldi non funziona. Contenuti, SEO, SMM e altre amenità Fino a questo punto credo siamo quasi tutti concordi (a parte quelli che diranno frasi del tipo “se ho un sito che vende prodotti extra-lusso mi basta anche un solo visitatore al giorno, purché quel visitatore compri almeno un prodotto”: tutto vero, ma qui parliamo di editoria, e non di ecommerce 🙂 ). Ma da qui in poi troverai varie correnti: lato contenuti, ci sono quelli (pochi) che puntano alla qualità, quelli che puntano alla quantità, quelli che scrivono solo di temi che conoscono perfettamente, quelli che scrivono solo in base ai temi più remunerativi. Poi ci sono quelli (la maggior parte) che puntano fortemente agli accessi da motori di ricerca – e quindi sulla SEO -, quelli (ancora pochi, ma in crescita) che lavorano con Facebook (qualcuno anche con Twitter) per trovare fonti alternative di traffico, e anche quelli che il traffico lo comprano (e marginano sull’arbitraggio). E infine c’è Google, che dice di voler penalizzare i siti con contenuti di bassa qualità, ma poi non definisce esattamente cosa è la qualità, e quindi siamo punto e a capo. Chi paga è sempre il banner Ma torniamo allo stretto parente delle pageview, il banner. I 2 vanno in parallelo perché il modello di business editoriale, da quando esiste il web, è quello di far soldi in base al CPM (=visualizzazioni dei banner), al CPC (=click sui banner) o al CPA (=azione che l’utente compie dopo aver cliccato sui banner). Quindi bisogna fare in modo di mostrare più banner possibili. E quindi bisogna ottenere quante più pageview possibili, costi quel che costi. Concludendo Alla luce di questo modello, e fino a che non si troveranno alternative valide (da seguire l’esperimento di The Daily), puoi capire perché l’editore è spronato ad andare verso la quantità e i trend di massa, verso la produzione da catena di montaggio e il contenuto “usa e getta”, mentre ha sempre meno appeal la qualità e il lavoro certosino/artigianale. Se in prima serata ci vanno gli Amici di Maria De Filippi e i reality show, un buon motivo ci sarà.