ruolo della web analysis

Nota introduttiva: questo post non avrà una natura tecnica, ne avrà una spiccatamente polemica e con questo aggettivo non mi riferisco all’accezione di controversia che ha assunto questa parola ma al suo senso più filosofico, ossia alla sua intenzione latente di creare dibattito.

L’argomento è la web analysis, topic per molti considerato noioso, quasi accademico e relegato a pochissimi individui considerati quasi figure mitiche per le loro capacità e le loro competenze. E queste righe nascono da una riflessione che ho maturato di recente, frutto di qualche anno di esperienza e di numerosi confronti durante eventi di settore o chiacchierate fra colleghi e appassionati della materia.

Mi occupo di web marketing ormai da un po’ e ho cercato di specializzarmi in strategia digitale avendo avuto l’opportunità di lavorare su diverse piattaforme di advertising e di aver abbracciato all’inizio un percorso professionale focalizzato sul motore di ricerca.

Ho sempre considerato alla base di tutto il dato e l’importanza di reperirlo, filtrarlo, imparare a leggerlo e utilizzarlo nel mio quotidiano. Nonostante non abbia un background tecnico (ho studiato Semiotica, una delle discipline “deboli”) ho cercato e cerco tutt’ora di maturare una competenza analitica, uno sguardo globale che parte sempre dai dati e che torna ai dati, passando per le singole operatività.

Perché ho fatto questa scelta? Non ci sono ragioni metafisiche o strani sofismi dietro, né la convinzione che il dato sia sempre predittivo (è un’utopia questa) ma, in maniera più banale e squisitamente emotiva, non ho mai concepito la possibilità di lavorare ignorando l’esito delle mie attività e ignorando l’impatto che potrebbero avere sul business di un cliente.

Non è immaginabile, secondo la mia modesta opinione, accendere il PC al mattino senza sapere le ragioni che hanno portato a un risultato o che non l’hanno generato, è come se ci fosse un senso e fosse necessario rintracciarlo. E ripeto, c’è una questione psicologia dietro a tutto questo perché diversamente io non saprei trovare il motivo reale del mio lavoro, del mio essere una figura professionale.

Questo piccolo pistolotto (perdonate il regionalismo) vuole giungere a un punto preciso ed è il seguente: com’è possibile che oggi ci sia ancora chi ignora l’importanza della web analysis? A quale futuro si pensa si sia destinati?

Ogni giorno entro in aziende, parlo con clienti e soprattutto mi confronto con altri operatori del settore e noto con dispiacere come ci sia ancora una forte concentrazione di energie sui meccanismi delle singole piattaforme, sui risultati delle singole attività, portando avanti task ripetitivi e credendo che quello sia il focus del nostro lavoro.

Spesso lavoro su progetti di lungo corso e intervengo su piattaforme di web analysis non correttamente settate e poco controllate. Ancora più sovente mi capita di dialogare con figure di spicco all’interno di aziende che non hanno un’idea di come venga generato un determinato risultato e di quali siano le reali implicazioni della strategia che stanno adottando.

Tra qualche anno tutte le attività che svolgiamo oggi saranno rimpiazzate da macchine che le faranno per noi e se riusciamo a comprendere fino in fondo questo processo diventa cruciale, per sopravvivere in questo mercato, cambiare prospettiva. Ciò che sopravvive è proprio la capacità di analizzare, di saper leggere i processi e interpretarli correttamente perché la fine lettura data da studio, competenze, ricerca culturale continua non potrà mai essere relegata a una macchina ma potrà serenamente conviverci.

Tutto il resto è destinato a sparire e non è uno scenario catastrofico, è uno sprone a cambiare marcia. Venerdì, durante l’ultima plenaria della giornata al Search Connect, si parlava proprio di soft skill ed era evidente un po’ di confusione su quali debbano essere le competenze cruciali per entrare a far parte di questo mondo professionale.

Io mi concentrerei su questo oggi: lo sguardo critico e analitico. Non importa che tu voglia fare SEO, Web design, Social Media o quant’altro il mercato offre, focalizzati sul cercare in maniera incessante i perché, i segnali deboli che ti giungono, è lì che si cela il successo o il fallimento di un’attività.

Scandaglia ogni possibilità, non ti fermare alle apparenze, allo strato superficiale di un progetto, trova i nessi di tutti gli elementi che lo compongono e questa è la chiave di volta di un buon web marketer. Diversamente il futuro è delle macchine, degli automatismi, di ciò che costa poco e rende tanto.

La mia speranza è di poter accendere un dibattito su questa mia riflessione e che possa essere un’occasione di confronto con chi ogni giorno si affaccia a questa materia. Diversamente leggetelo come uno sfogo dettato dai bilanci di fine anno :-).

Autore: Alessandra Maggio, Head of Strategy in Studio Samo, per il Max Valle.