La frase “Bene o male purché se ne parli” pare sia attribuibile a Oscar Wilde, che ne Il Ritratto di Dorian Gray scrisse qualcosa di molto simile: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about.”
Da quella frase è stato estratto un noto motto che gira da tempo nel mondo della pubblicità – “Any Publicity is Good Publicity” – e che da qualche giorno potremmo cambiare in “Bad Online Publicity is Good Publicity” (almeno stando al caso che sto per esporre in questo post). Ecco i fatti:
Clarabelle Rodriguez vuole acquistare online un paio di occhiali da sole.
Li trova su DecorMyEyes.com, li acquista, e da quell’istante inizia il suo peggiore incubo: riceve degli occhiali falsi, le viene addebitato un importo maggiore, viene insultata, minacciata e pure derisa.
Si, perché quell’ecommerce ha fatto della cattiva pubblicità la sua strategia principale. E se ne vanta pure pubblicamente:
“Ciao, sono di DecorMyEyes.com e volevo ringraziarvi per tutte queste lamentele, sappiate che più ne pubblicate, più visite riceviamo sul sito e più soldi e vendite ci aiutate a fare. Noi amiamo la PUBBLICITA’ NEGATIVA. Ci avete spinto in vetta ai risultati dei motori di ricerca, e stiamo facendo più soldi adesso che mai prima d’ora. Non abbiamo mai fatto tanti affari. Grazie, grazie a tutti, siamo in paradiso.”
Non voglio soffermarmi sulla spavalderia dei personaggi o sul corso che farà la giustizia – fra le altre cose, pare che il messaggio qui sopra sia vecchio di 2 anni – ma vorrei invece approfondire un punto che trovo molto interessante (come sta facendo anche fortunecat in questo thread):
Google non è in grado di misurare il “sentiment” di un link
Intendo dire che per Google i link hanno un peso sia qualitativo (tipologia/trust del sito linkante) che quantitativo (mero numero delle pagine che linkano la risorsa), ma sembra che il motorone non riesca ancora a identificare il sentiment che porta l’utente a linkare un determinato sito.
Il link è inserito all’interno di una discussione positiva, o di una negativa? Google non può determinarlo, “Google absolutely can tell if a business has a lot of positive or negative reviews about it” dice Danny Sullivan su Search Engine Land.
E quindi, se in tanti linkano DecorMyEyes.com all’interno di un contenuto che parla di occhiali da sole il sito si posiziona benissimo con quel termine, perché i motori di ricerca sono sì in grado di interpretare il contesto (=un link proveniente da un sito che parla abitualmente di occhiali da sole avrà un peso maggiore di quello proveniente da un blog che parla di web marketing), ma NON sono in grado di interpretare il sentiment che gravita attorno al contesto (=se un noto sito sugli occhiali da sole parla malissimo di DecorMyEyes.com, ma comunque lo linka, quel link ha lo stesso valore, agli occhi del motore, di un link inserito in un contenuto dai toni molto positivi).
Le “review” saranno la (parziale) soluzione?
Google ha comunque trovato il modo di mettere una pezza a questo suo limite, inserendo in parecchie SERP relative a prodotti/servizi le “recensioni”.
L’integrazione delle “stelline”, con relativi commenti, è infatti in grado di aiutare l’utente nella valutazione del prodotto/servizio che cerca, evitandogli, in taluni casi, spiacevoli sorprese.
Nel frattempo spero che in Google si ingegnino nel trovare un modo, più o meno algoritmico, di misurare il peso dei brand e la loro reputazione, in modo che i link, “positivi” e “negativi”, vengano davvero valutati come tali: quella sì che sarebbe una svolta storica nel mondo dei motori di ricerca.
P.S.: Amit Singhal, proprio a seguito di questo “fattaccio”, ha dichiarato che Google ha già approntato una prima soluzione algoritmica per evitare il ripetersi di simili casi.