Quando l’economia entra in crisi, ecco che si stringono i cordoni della borsa e gli investimenti diventano più modesti ed oculati. Non fa eccezione a questa regola nemmeno l’advertising sul web: la parola chiave che leggo più spesso in questi ultimi giorni è infatti performance, che ho ritrovato in questo lungo post di Ethan Zuckerman (il quale si domanda se siamo giunti nell’Ad Performance Age), in un report di JP Morgan (che vede il futuro dominato dai Performance-based Ads) e pure nel comunicato stampa congiunto di RCS e L’Espresso, che annunciano la nascita di un consorzio con l’obiettivo di offrire posizionamenti pubblicitari a performance sui siti dei due gruppi.
Ma l’adv non è fatto solo di performance : facciamo un passo indietro e andiamo ad illustrare le 3 tipologie di pubblicità online attualmente più diffuse, più o meno convenienti a seconda se ti trovi dalla parte del publisher piuttosto che da quella dell’advertiser.
CPM
Il CPM (o Cost Per Thousand) è il costo che l’inserzionista deve sostenere per esporre 1.000 annunci pubblicitari sul sito dell’editore.
A chi conviene?
Agli editori che vogliono revenue sicure (l’inserzionista pagherà l’editore esclusivamente in base al numero di impression erogate), e che generano un buon traffico (più pageview = più soldi). Agli inserzionisti che puntano a fare brand (e guardano un pò meno ai click e alle action).
CPC
Il CPC (o Cost Per Click) è il costo pagato dall’inserzionista per ogni singolo click che l’utente effettua su un suo annuncio esposto sul sito dell’editore.
A chi conviene?
Agli editori che hanno siti con un layout dove i banner sono ben visibili e ben integrati nei contenuti, e con un pubblico ben disposto al click (generalmente, “poco evoluto”). Agli inserzionisti che vogliono portare traffico qualificato sui propri siti destinando all’operazione un budget ben definito.
CPA
Il CPA (o Cost Per Action) è il costo che deve sostenere l’inserzionista per ogni singola azione che l’utente effettua dopo aver cliccato su un suo annuncio esposto sul sito dell’editore. Per azione si può intendere un nuovo contatto utile acquisito tramite l’editore (in questo caso di parla di Cost Per Lead, o CPL) oppure di una vera e propria vendita (in questo caso si parla di Cost Per Sale, o CPS).
A chi conviene?
Agli editori con una utenza molto propensa all’acquisto online. Agli inserzionisti che vogliono limitare gli investimenti pubblicitari quasi a zero (nel caso del CPA, è infatti l’editore a farsi carico di tutto il rischio: l’inserzionista lo pagherà solo ed esclusivamente quando l’utente compirà una “azione” ben definita dopo aver cliccato sul banner).
L’advertising del futuro
La DotCom Bubble del 2000-2001 ci ha portati dal CPM all’era del CPC:
L’attuale crisi potrebbe rafforzare questa situazione, portando gli inserzionisti non solo ad aumentare la quota investita nel CPC a scapito del CPM (il cui valore medio è in costante calo, come dimostra questa tabellina di eMarketer),
ma spostandoli pure verso il CPA (come lascia intravedere l’immagine in testa a questo post). Possibile che alla fine ci rimettano sempre e soltanto gli editori? 🙂