Lo spunto per il piccolo post di oggi arriva da Il Giornalaio, nella quale si discute del perchรฉ alcuni brand stanno diventando editori .
A mio parere, nel cosiddetto “Brand Journalism” non c’รจ nulla di particolarmente nuovo: รจ da qualche anno che i “contenuti brandizzati” sono in cima alla prioritร di parecchie aziende, ed รจ da tempo i brand devono rapportarsi con i 3 media – Paid, Earned e Owned – ovvero quelli che posseggono (owned), pagano (paid) o cercano in tutti i modi di “guadagnare”, di conquistare (earned).
E’ proprio quest’ultimo il terreno piรน difficile e insidioso: se infatti il brand puรฒ fare il bello e il cattivo tempo sui media che possiede o che paga, deve muoversi con estrema cautela al di fuori del suo territorio. In ogni luogo dove c’รจ interazione col pubblico, dove non si ha il completo controllo della piattaforma, non si puรฒ pensare di dettare legge e comportarsi come a casa propria: e infatti possiamo annoverare parecchi “epic fail” di notissimi brand su social come Facebook e Twitter.
D’altra parte, il brand avrร sempre bisogno di comunicare ad di fuori dei siti/media del suo perimetro, perchรฉ solo i “fan” giร acquisiti vanno sul sito del brand per leggere/ascoltare/guardare le sue autopromozioni e i suoi contenuti rivestiti di pubblicitร .
Il Contenuto proposto dal brand si trasforma dunque in Re solo quando รจ di grandissima qualitร e solo se viene presentato al giusto pubblico, nel giusto contesto e nel giusto “contenitore”: “Great Content in the Right Context“ รจ la frase che viene ripetuta piรน volte nel video. I brand potranno anche provare a trasformarsi in editori, ma avranno sempre bisogno di siti, community e quindi di “veri editori” giร presenti da tempo sul mercato se vorranno raggiungere e allargare la loro audience.
Perchรฉ solo i “fan” giร acquisiti vanno dall’oste a chiedergli se il vino รจ buono.