Sull’affaire Google–Verizon è oramai stato scritto di tutto: la posizione ufficiale di Google è stata esposta (in Italia) in un articolo dal titolo “una proposta congiunta per una rete aperta”, mentre la stragrande maggioranza dei giornalisti/blogger nostrani si è sostanzialmente scagliata, con varie sfumature, contro il colosso di Mountain View (se devo scegliere un punto di vista, consiglio quello di Stefano Quintarelli, da sempre in prima linea per la neutralità della Rete). Visto che questa storia la conosci meglio di me, ma visto che qualcuno vuole comunque sentire la mia campana, andrò a parare su un discorso un po’ filosofico.
Viviamo da tempo nella società del profitto (non dico del capitalismo, altrimenti arrivano i fan di Che Guevara e quelli del “si stava meglio quando si stava peggio”, e il post finisce in vacca 🙂 ). Internet è una piattaforma commerciale, non è più la rete militare e poi universitaria di cui abbiamo letto tutti nella storia di Internet.
Non lo è più da almeno 15 anni, da quando con Internet la gente ha iniziato a farci i soldi (pure io ci provai, col mio piccolo “nodo”), da quando da servizio di nicchia è divenuto pian piano un servizio di massa. Su Internet c’è un sacco di gente che con Internet ci vive, a vari livelli. C’è il libero professionista (come il sottoscritto), c’è il piccolo editore con una quindicina di dipendenti (come quello per cui lavoro) e ci sono anche i colossi come Google (che di dipendenti ne ha diverse migliaia).
Le differenze sono sostanziali: i piccoli si adattano alla Rete, i grossi la plasmano. L’editore sfrutta le potenzialità della Rete per diffondere i suoi contenuti e monetizzarli con la pubblicità; Google, Apple, Facebook e pochi altri dirigono le masse, si inventano modelli sui quali parecchie persone si appoggiano per tirare a campare. Google ha “creato” migliaia di SEO/SEM specialist, Apple migliaia di sviluppatori di app, Facebook migliaia di social media marketer.
Mestieri che non esistevano prima, che hanno senso solo perché esistono questi colossi che hanno creato da zero nuovi modelli di business. Chiaro il concetto? qui si parla di aziende, quotate in Borsa (Facebook non ancora, ma prima o poi ci andrà), non di enti di beneficienza. Si parla di società che puntano principalmente al profitto, all’utile, non al bene comune (soprattutto se il bene comune non è anche il LORO bene). Quindi non capisco perché ci si scandalizzi di certi accordi, se è vero (come dicono anche illustri analisti) che Internet diventerà mobile entro 5 anni, e che quindi il grosso del traffico, degli utenti e dei SOLDI passerà da lì.
Se non ricordo male, Google si interessò all’acquisto di fibra alcuni anni fa, probabilmente per lo stesso motivo per cui oggi parla attivamente con Verizon: nel 2005 non era probabilmente chiaro che si sarebbe finiti sul mobile, e acquistare “pezzi fisici” di rete poteva avere un senso. Oggi invece ha forse più senso un accordo con chi il mobile lo controlla da tempo (anche perché non credo che Google possa acquistare/partecipare Verizon con la stessa facilità con cui compra un pezzo di fibra o una startup, se non altro perché l’antitrust temo non gradirebbe).
Semmai fanno sorridere i motti di queste grosse aziende, e i loro fanboy: “Don’t Be Evil“, più adatto come slogan di Emergency che di una multinazionale, viene sistematicamente tirato fuori dai detrattori di Google non appena Big G non si comporta da santerello, mentre i fanboy si prodigano a difendere il loro brand preferito (e i relativi prodotti/servizi) anche quando indifendibile (penso alle email/commenti ricevuti quando 10 mesi fa dicevo che Google Wave non avrebbe avuto successo, nonché agli strenui paladini dell'”ottima antenna” dell’iPhone 4).
I colossi del web non sono la Croce Rossa. Cerchiamo di non sposarne le cause a tutti i costi, di difendere a spada tratta l’uno o l’altro, visto che non siamo alle loro dipendenze. Cerchiamo di apprezzarne i pregi, ma anche di criticarne aspramenti i difetti. Solo l’obiettività, il distacco, ci può salvare da chi dice di “non essere cattivo”, o da chi afferma di voler essere “una forza per il bene“.