Da diversi anni a questa parte, l’Internet Advertising Revenue Report di IAB ci racconta che la pubblicità su Internet cresce in modo importante da un anno con l’altro.
I dati appena pubblicati, relativi a tutto il 2011, parlano di un +21,9% sul 2010, e raccontano di un decennio dove la freccia punta decisamente verso l’alto (eccezion fatta per un piccolo scivolone nel 2009).
Se prendiamo altre chart del report sembra che le quote di mercato si siano più è meno stabilizzate: cresce la fetta di search e video, diminuisce quella di display e classified, ma non si tratta di enormi sbalzi.
Forse l’unico vero attore emergente è il mobile, che passa dai 641 milioni del 2010 a 1,6 miliardi nel 2011 (+149%), ma la sua presenza nella torta è ancora marginale (personalmente ho già espresso i miei dubbi sul fatto che gli editori ne trarranno un beneficio…). Tutte rose e fiori, quindi? Non proprio. La chart probabilmente più interessante, a mio parere, è infatti questa:
nota l’allargamento della forbice fra performance e CPM. Se nel 2006 i 2 modelli raccoglievano le medesime revenue, oggi le performance sono al 64% e il CPM al 32%. E questa roba, lato editore, non è affatto simpatica. L’inserzionista, complice la crisi (mai parola fu più abusata…), vuole rischiare sempre meno e quindi, se decide di investire su un editore online, sposta su di lui tutto il rischio: – CPM, + performance, – banner comprati per fare branding, + banner comprati a CPC/CPA.
Aggiungi a questo che i banner non li guarda (e non li clicca) quasi più nessuno, ed eccoci arrivati al paradosso: la pubblicità online cresce, ma non sono di certo gli editori ad avvantaggiarsene. E’ dal 2008 che io non vedo tutta sta euforia nell’editoria online, a dispetto dei report sull’advertising pubblicati da IAB: tutti sti soldi investiti in pubblicità sul web, evidentemente, finiscono nelle tasche di qualcun altro.