Architettura dell'informazione

Parlare di architettura dell’informazione è un po’ come parlare del nulla. Chiaramente se non si sa di cosa si stia parlando. Una volta se ne parlava facendo riferimento a un processo di pianificazione di uno specifico interaction design di qualsiasi piattaforma digitale, in cui l’utente fosse al primo posto o addirittura fosse l’unico elemento a cui far riferimento senza preoccuparsi di altro. In parole povere, essere un buon architetto dell’informazione (o delle informazioni) è sinonimo d’essere un buon progettista. Difficilmente uno studio accurato e prolungato potranno tirar fuori il progettista che è in voi, questi elementi sono senza dubbio punti chiave nell’ambito della crescita professionale di qualsiasi individuo, ma progettare, migliorare, prevedere sono azioni che derivano direttamente da un buon uso della logica che si ha a disposizione e del buonsenso che si applica a qualsiasi cosa. “Disegnare” un concetto, un percorso cognitivo, un ambito semantico deve necessariamente tener conto di principi di usabilità e conoscenze comuni molto più che personali. Un buon architetto dell’informazione analizza i comportamenti e le necessità degli altri e progetta per queste necessità, mai per le proprie (salvo rare eccezioni). Va fatto a tal proposito un piccolissimo inciso: è il marketing che detta leggi alla comunicazione, non viceversa; i progetti che però vengono sviluppati a partire dalle strategie sono, ahimé, molto pochi, quindi vogliamo analizzare la questione sotto un punto di vista “tradizionale”.

Cosa è

Vediamo adesso di cosa si tratta davvero quando si parla di architettura dell’informazione. Ammesso che questo approccio sia applicabile a qualsiasi ambito e non soltanto a quello informatico, è proprio a quest’ultimo che noi faremo stretto riferimento, integrandolo nel processo di realizzazione di una buona piattaforma. Detto ciò, l’architettura dell’informazione è il principio del procedimento che pianifica, imposta e testa i percorsi logici in base alla fruibilità dei contenuti. Un vera e propria reliquia del settore è il testo Information Architecture for the World Wide Web, che nonostante il rapido innovarsi delle tematiche e delle necessità degli utenti è sempre al passo con i tempi e fornisce ben più di un’infarinatura generale nell’ottica della formazione di buoni progettisti. Architettura dell’informazione è posizionamento degli elementi e soprattutto classificazione degli stessi all’interno di categorie e percorsi favoriti da processi cognitivi sia logici che semantici. Interaction design è l’attività di progettazione delle interfacce grafiche al fine di facilitarne usabilità e user experience per trovare il giusto compromesso tra piacevolezza grafica e propensione alla conversione dei contenuti, sia in termini economici che di semplice trovabilità. In un certo senso, l’architettura dell’informazione è “progettazione della progettazione”, un modo semplice ed essenziale per non commettere errori quando si gettano le basi per un progetto digitale che sappia accontentare soprattutto gli utenti, prima che il team di sviluppo. Architettura dell’informazione non è graphic design e pertanto non può derivare da questo, può guidarlo e definirlo all’interno di logiche di posizionamento spaziale studiate e soprattutto testate. Non è web development poiché non si avvale di codici ma generalmente di wireframe realizzati da software dalla gestione semplificata rispetto ai linguaggi ipertestuali del web (tuttavia, la realizzazione o il semplice utilizzo di un framework versatile può rappresentare una valida alternativa ai software di wireframing sia in fase di progettazione che di implementazione).

Wireframe

Definire l’architettura dell’informazione è compito assai complesso a causa del gran numero di variabili che interferiscono nella sua interpretazione. A tal proposito, la voce Information Architecture in Inglese di Wikipedia, fornisce una corposa lista di suggerimenti e personalità collegate alla materia attraverso cui poter comprendere a fondo le reali dinamiche vi ruotano attorno.

A cosa serve

L’architettura dell’informazione nasce per l’organizzazione dei contenuti non soltanto in contesti digitali. L’esempio più semplice che può aiutarci nella sua comprensione è quello di una libreria in cui i libri siano posti a caso, senza una differenziazione per ambiti, in cui la ricerca di un singolo testo sarebbe pressappoco impossibile. Trovare un testo riferito ad un argomento in particolare potrebbe richiedere tempi lunghissimi e di volta in volta differenti, non considerando il fattore casualità. Cosa diametralmente opposta si potrebbe dire per una libreria perfettamente ordinata in cui scaffali, corridoi ed etichette dividano i differenti settori e separino, ad esempio, i libri di cucina da quelli di medicina. Questo primo inquadramento della materia ci aiuta a comprendere quanto sia essenziale classificare i contenuti e riconoscerli in base a standard comunemente condivisi già a livelli di organizzazione essenziale come quella spaziale. Il mondo delle cose a differenza del mondo dei bit, è parecchio più semplice da organizzare. Lo stesso discorso può essere riproposto in un supermercato, in cui il posizionamento degli elementi sulle mensole non può assolutamente essere casuale altrimenti tutte le signore intenzionate ad acquistare detersivo per piatti e dirette verso il reparto specifico troverebbero dei surgelati di pesce, con buona probabilità di vederle andar via dal supermercato e non tornare mai più.

Classificazione

In ambito informatico le cose cambiano completamente. La stessa natura del web impone una maggiore attenzione in fase di progettazione dell’interaction design. In questo senso, l’architettura dell’informazione ha l’arduo compito di mettere ordine in una struttura di per sé disordinata: il Web. Essendo questo strutturato in maniera ipertestuale, fornendo dunque percorsi potenzialmente infiniti per giungere ai medesimi contenuti, necessita di una fase di classificazione a priori molto più intensa e dettagliata. Mentre nella realtà quotidiana, quando i contenuti siano tangibili e appartenenti al mondo delle cose, i processi logici che portano alla scelta di un percorso sono indotti dalle circostanze e dalla natura strutturata delle nostre conoscenze, su internet abbiamo bisogno di chiarire quali siano questi processi logici da innescare e quali i percorsi da suggerire. In questo compito ci aiuta una disciplina in partenza indipendente, che tuttavia trova particolare applicazione nella biologia, la tassonomia.

Tassonomia

Più comunemente scienza della classificazione, la tassonomia (solitamente utilizzata in ambito biologico) può essere intesa come la classificazione gerarchica dei concetti, potendo quindi essere facilmente inserita in contesti ben più ampi. In tal senso, rifacendosi ai principi della matematica, una tassonomia è una struttura ad albero al cui vertice superiore sia presente un’istanza singola (nodo radice) le cui proprietà si riflettano su tutte le istanze derivate dette propriamente categorie.

Architettura dell’informazione per gli utenti

Traducibile in parole povere con scienza della trovabilità, l’architettura dell’informazione facilita gli utenti nel raggiungere i contenuti desiderati. Non solo ottimizza i percorsi ma li induce. Chiaramente, nel primo caso, è fortemente collegata alla user experience di cui è parte integrante. Un buon progetto si rifà a test di usabilità tradizionali e fasi preliminari di card sorting su campioni differenti, più o meno grandi, a seconda delle peculiarità richieste ai tester. Qualora invece venga impiegata per indurre in processi logici non del tutto naturali, o in qualsiasi modo forzati, fa uso di tecniche differenti di previsione delle intenzioni, tra cui un’attenta analisi dei dati di un gran numero di soggetti sottoposti ad eyetracking e la generazione di heatmap grazie ad appositi software.

Heatmap

Facilitare la navigabilità di un sistema è il modo migliore per ottenerne risultati, dunque conversioni, sempre crescenti. Questi risultati sono traducibili sia in termini di vendite che di operazioni effettuate durante la navigazione come: il numero delle pagine sfogliate, i tempi di permanenza, il bounce rate, ecc. Ottimizzare l’usabilità di un sito web, favorirne la navigabilità e rendere semplice e soprattutto intuitivo il passaggio ad un’altra sezione, quando richiesto, deve rappresentare il focus principale di qualsiasi progetto. È essenziale concentrarsi sugli utenti, tenere bene a mente che una piattaforma ad altissime prestazioni sia hardware che software non sarà mai ben percepita se inusabile. Fornire risposte agli utenti è la chiave per ottenere la loro soddisfazione, la soddisfazione dei loro bisogni viene prima della grafica, prima dello sviluppo, prima della promozione o di qualsiasi altra attività.

Architettura dell’informazione per i motori di ricerca

Esistono due modi di considerare l’architettura delle informazioni in relazione alla SEO. Il primo fortemente concentrato sui comportamenti che gli utenti hanno sulle piattaforme e che, chiaramente, i motori di ricerca tracciano. Google stesso afferma di monitorare con molta attenzione le sessioni degli utenti sui siti web. I percorsi rappresentano elementi essenziali di cui tener traccia all’interno delle suddette sessioni. In questo senso, l’architettura dell’informazione influenza la SEO in maniera indiretta, favorendo una lunga permanenza e una buona navigabilità delle piattaforme. Sotto un altro punto di vista, che di sicuro meriterà approfondimenti in futuro, l’architettura dell’informazione può fornire percorsi più semplici e intuitivi non solo agli utenti, ma anche (e oseremo dire soprattutto) agli spider. Dimentichiamo per un momento quella storia dei 200 fattori che influenzano il posizionamento di un sito web. Anzi, dimentichiamola per sempre. Iniziamo a concentrarci su una serie di dinamiche che sono fortemente presenti nell’alternanza dei siti ai vertici delle SERP nei più svariati settori. Google è quanto di più vicino esista ad una intelligenza artificiale, pertanto cercare di fregarlo con mezzucci tecnici da quattro soldi sarà, alla lunga, completamente inutile. La SEO è tecnica, ma applicata nel modo giusto. Non conta esser furbi, è importante essere sinceri e soprattutto corretti. In questo senso tecnica e semantica si incontrano in un unico obiettivo: fornire risposte, non match. Consulenti SEO di ogni genere si affannano a trovare il maggior numero di keyword possibile da inserire all’interno di un numero infinito di pagine web, fornendo a Google un suggerimento di tipo testuale, non logico, che in assenza di risposte vere, apparirà più alto. Concepire una SEO semantica può rivelarsi cosa giusta qualora fosse il contesto a dare delle direttive, non soltanto il contenuto. Qui interviene l’architettura dell’informazione. Avere buonsenso nell’organizzare i contenuti, facilitando il loro raggiungimento agli spider di ricerca, avrà molto più riscontro di creare contenuti di altissimo valore mal organizzati sul sito web. Non ci si sposta su livelli di pensiero complessi, la questione è semplice: il percorso più semplice e intuitivo per un essere umano sarà probabilmente il percorso più semplice per un crawler. Una volta trovato un contenuto, Googlebot passerà l’informazione a un complesso sistema di algoritmi che assegneranno un punteggio a quella pagina non soltanto considerata a sé stante ma anche e soprattutto in relazione al contesto in cui si trova. Si è soliti considerare l’architettura dell’informazione un plus per la SEO in questo senso: immaginate di poter organizzare l’intera mappa dei contenuti di un sito in modo tale da poter assegnare un concetto logico/semantico ad ogni singola pagina; in questo modo sarebbe possibile spingere una pagina web in alto nelle SERP per una singola keyword che magari risulterebbe anche imbattibile. Questa prima ipotesi trova riscontro in molte realtà presenti online, ma sembra che le tendenze della SEO moderna stiano virando verso altri luoghi, vediamo quali: organizzare l’intero calderone dei contenuti, progettare un sito web con una struttura solida ed equilibrata, classificare gli argomenti trattati aiuterà la fase di posizionamento in maniera quasi inconsapevole; esistono numerosissimi siti web ad altissimo potenziale contenutistico che però non raggiungo risultati rilevanti per colpa di una cattiva organizzazione di questi contenuti, gran parte del lavoro di un bravo consulente SEO consiste proprio in questo. Una volta che i testi, le immagini, i tool e così via siano organizzati e classificati all’interno del sito, sarà possibile agire con azioni SEO tradizionali (link building, URL rewriting, ecc), che conferiranno alla pagina di destinazione la forza sufficiente a posizionarsi per più chiavi di ricerca, tutte inerenti all’ambito trattato, non più per una, due o tre keyword, ma molte di più.

Best practice per AI e SEO

L’architettura dell’informazione o AI si occupa non soltanto di questioni di natura logica e semantica per gli utenti e i motori di ricerca, ma anche di una questione decisamente più tecnica, il bilanciamento del link juice. Avere a che fare con un sito che tratti argomenti sì di nicchia, ma ad ampio spettro, come la SEO o il Web Marketing in generale, può creare piccole dispersioni di significato e qualche volta giungere a contenuti che divaghino dal fulcro principale del discorso.

  • Considerato che tutti sappiamo che la link building è un’attività ad alto rischio, sopratutto se condotta in modo sconsiderato, ci si adopera perché i link siano quanto più naturali possibile. Entra quindi in gioco il fattore della pertinenza dei siti web da cui si ricevono link. Allora, perché non valutare attentamente questa pertinenza all’interno del nostro stesso sito? Creare uno schema contenutistico per cui la categorizzazione abbia forma piramidale, ossia partendo dal concetto più ampio si scenda, con link, a concetti più specifici, può dare un chiaro riferimento ai motori di ricerca sulla catalogazione dei contenuti all’interno del panorama web. Di fondamentale importanza è il percorso, ragion per cui potrebbero tornare utili i breadcrumbs, che per quanto utilizzati in passato e ormai passati di moda, apportano un sostanzioso aiuto alla navigazione del sito web e all’orientamento degli utenti.
  • Inquadrare un sito web in un ambito particolare non è soltanto compito dei contenuti e dei link in entrata, vale la pena considerare che anche i link in uscita verso terze parti o verso altre pagine del nostro stesso sito caratterizzino la pagina di partenza. È fondamentale, ad esempio, sfruttare i contenuti evergreen che naturalmente attraggono un maggior numero di lettori per delineare l’ambito dei nuovi contenuti. Linkare i contenuti sempreverdi sarà di ausilio a entrambe le parti; qualora si tratti di link interni favorirà il riposizionamento o l’affermazione del contenuto ricevente il link come contenuto ancora valido nonostante il passare del tempo e naturalmente sarà un metodo per inquadrare l’ambito; qualora si tratti di un link esterno sarà probabilmente un contenuto ad altissimo merito che assegnerà senz’altro un valore semantico alla nostra pagina di partenza.
  • Non disperdere gli intenti di ricerca, non farlo. Creare più pagine per rispondere alla stessa domanda è assolutamente inutile. I motori di ricerca sono più che allenati a gestire una sintassi differente per search intent uguali. La valenza dell’ordine delle keyword in un tag sarà probabilmente acqua passata nel giro di qualche anno. Come detto all’inizio: fornire risposte, non match. Creare due pagine differenti, con contenuti simili ma lessicalmente e sintatticamente diversi al fine di assegnargli titoli differenti che però rispondano alle stesse esigenze è una pratica inutile oltre che dannosa. Arricchire una singola pagina con contenuti di maggior valore provenienti da tutte le pagine satellite che rispondano alla stessa domanda è la scelta migliore. Per intercettare il maggior numero di intenti di ricerca possibile esiste una metodica consolidata del mondo SEO detta keyword research.

Search Intent

Conclusioni

Findability, dall’inglese trovabilità è l’attitudine di un’informazione ad essere reperibile. Questo concetto, in quanto tale, esula dalle dinamiche del web marketing e fa riferimento a qualsiasi contenuto pubblicato, messo in evidenza, divulgato tramite qualsiasi mezzo. Un’informazione, per trasformarsi in conoscenza attiva, deve poter essere reperita nel modo più facile e veloce possibile. Successivamente, grazie alla multiformità del web moderno, è possibile applicare la scienza che studi la suddetta findability, alle piattaforme informatiche e a tutto ciò che ne deriva. Questa è una verità insindacabile, produrre un contenuto di valore che non sia ben raggiungibile equivale ad avere un diario segreto, tanto vale iniziare a scrivere in una lingua propria o sconosciuta ai più, il risultato sarebbe lo stesso. Gli utenti moderni sono affamati di informazioni, le ricercano e le valutano, grazie a internet, in un colpo d’occhio. Non fanno parte di una schiera di costanti e dediti bibliotecari che sarebbero capaci di spulciare ogni singolo scaffale per giungere al risultato desiderato, gli utenti moderni vogliono quell’informazione e la vogliono adesso, altrimenti la cercheranno da un’altra parte e state pur certi che qualcuno sarà pronto a fornirgliela su un piatto d’argento. Autore: Tommaso Calemme, per il TagliaBlog.